di Daniele Bovi

Una delle grandi incognite in vista delle elezioni politiche del 25 settembre sarà il livello di astensionismo; tema al centro del terzo episodio di Focus, il podcast di Umbria24 dedicato all’approfondimento dei temi che riguardano attualità, politica ed economia.

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I numeri In un grafico Umbria24 ha ricostruito l’andamento dell’astensione alle elezioni politiche in Italia, in Umbria e nelle cosiddette Zone rosse dal 1948 al 2018. Nei primi 30 anni della Repubblica in tutto il paese le percentuali sono state abbondantemente sopra il 90 per cento, con punte del 96 per cento in Umbria e nel resto delle Zone rosse, oggi di fatto confinate solo a parti della Toscana e dell’Emilia Romagna. Negli anni ’80 le primissime crepe e poi, a partire dalla cosiddetta Seconda repubblica, un calo costante fino al 73 per cento del 2018. L’unica eccezione è il 2006, l’anno del Porcellum di Calderoli, del bipolarismo e di una campagna elettorale tiratissima, al termine della quale l’Unione prodiana vincerà per appena 24 mila voti.

IL GRAFICO:  L’ASTENSIONISMO IN ITALIA, UMBRIA E NELLE ZONE ROSSE

I fattori L’Umbria e le sempre più piccole zone rosse cinque anni fa erano ancora al 78 per cento, al di sopra delle media. Il 25 settembre invece sono diversi i fattori che fanno pensare a un possibile record negativo. Una campagna elettorale per la prima volta tra agosto e settembre e senza sussulti, una partita senza storia secondo i sondaggi, una legge elettorale schizofrenica con il suo mix malriuscito di maggioritario e proporzionale e in grado di allontanare ancora di più gli elettori da quelli che dovrebbero essere i loro rappresentanti.

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La regressione «Il grafico – spiega a Umbria24 il professor Luca Ferrucci – mostra indiscutibilmente una forte regressione dello spirito democratico in senso lato e l’esistenza di una democrazia malata sotto vari profili. Il primo polo per quanto eterogeneo e incapace di esprimere rappresentanza è l’astensione, ma non è stato sempre così». Ferrucci indica tre fasi storiche: quella, almeno fino agli anni ’70, segnata dai partiti con un forte contenuto ideologico e differenti visioni a proposito di economia, cultura, società e istituzioni; poi gli anni ’80 con il prevalere del voto di opinione che prevale su quello di appartenenza. Negli anni ’90 la stagione dei poli di Berlusconi e di Prodi e infine la terza fase, quella «del voto di protesta e non di proposta; un voto populista – osserva Ferrucci – che si fonda su pochi aspetti programmatici – vedi gli immigrati – e che ha una natura antisistema, con una contrapposizione con altri partiti più pragmatici che esaltano buongoverno e competenza».

Niente più sogni «Tutto ciò – continua – impatta sulla partecipazione perché di fatto il voto non suscita più sogni e speranze di cambiamento. Anche il voto di protesta esaurisce la propria forza nel momento in cui in Italia, da 20 anni, entrano nell’arena nuove forze e movimenti più o meno trasformati che tendono a sottolineare questa proiezione programmatica, con una forza sempre meno credibile. n vista del 25 è plausibile ritenere che vi sia un ulteriore scalino al ribasso, e ciò aggiunge problemi alla democrazia». Da ultimo c’è la legge elettorale «che di fatto – sottolinea Ferrucci – non consente ai cittadini di esprimere la propria preferenza; poi con la riduzione del numero dei parlamentari nelle Camere c’è anche meno espressione della società civile: ci si limita a candidare politici professionisti che negli ultimi 20 anni hanno vissuto di vita politica. È una cosa che deve preoccupare tutti quanti».

Gli ostacoli Come se tutto questo non bastasse, ci si mette anche il nostro sistema a ostacolare chi vorrebbe votare. In Italia la legge prevede che possono farlo in luoghi diversi da quello di residenza solo membri di un seggio elettorale, rappresentanti di lista, candidati, ufficiali, forze dell’ordine, chi si trova in ospedale, in comunità e altri ancora. Peccato – però – che la platea sia enormemente più grande. Pochi mesi fa è stato pubblicato il Libro bianco sull’astensionismo. Scorrendolo si scopre che sono quasi 5 milioni gli elettori che lavorano o studiano in un’altra regione. In Umbria si parla di 58 mila persone secondo i dati Istat di fine 2018, poco meno del 10 per cento del corpo elettorale; 31 mila si trovano a meno di 4 ore da casa, 18 mila tra le 4 e le 8 ore e altri 8 mila fra le 8 e le 12 ore.

I costi Tutte persone che se vogliono votare devono calcolare bene i costi, sia in termini di tempo che economici. Il tutto in totale spregio della Costituzione, che spiega come il diritto di voto sia personale ed eguale, libero e segreto, e limitabile solo in pochissimi casi. In diversi paesi europei invece il problema è stato risolto in più modi, ad esempio dando alle persone la possibilità di votare per posta, per procura e non solo. Gli italiani all’estero possono votare per posta, quelli che si trovano in Italia no.