Catiuscia Marini in aula (foto F.Troccoli)

di Daniele Bovi

Né il 23 aprile né il 30: il consiglio regionale dell’Umbria discuterà le dimissioni di Catiuscia Marini il 7 maggio. La decisione è stata presa giovedì nel corso della Conferenza dei capigruppo che si è riunita a Palazzo Cesaroni. Lo slittamento ha ovviamente anche un peso politico, dato che viene garantito del tempo in più per organizzarsi: i capigruppo del centrodestra,che si è diviso sulla candidatura di Tesei, hanno chiesto di discutere le dimissioni il prima possibile, mentre centrosinistra e Movimento 5 stelle, ai quali dei mesi in più fanno un gran comodo, hanno pigiato sul freno.

IL COMMA CHE GARANTISCE UN MESE IN PIÙ

Mai successo Accanto all’indubbia valenza politica dello slittamento della discussione però, la realtà è che dal 1970 a oggi il consiglio regionale umbro non aveva mai affrontato una situazione del genere. Le uniche dimissioni infatti risalgono tutte a prima del 1993, anno dal quale è arrivata l’elezione diretta di sindaci e presidenti di Regioni e Province. Ecco perché, allo scopo di portare a termine la legislatura in modo ordinato, i capigruppo hanno dato mandato agli uffici tecnici del consiglio regionale di mettere nero su bianco un parere, complesso, su una decina di questioni; una indicazione procedimentale su tutte le fasi da espletare da qui allo svolgimento delle elezioni.

CENTRODESTRA DIVISO SU TESEI

I nodi Palazzo Cesaroni nei prossimi mesi dovrà mettere mano al rendiconto, all’assestamento di bilancio, a tutti gli atti indifferibili e urgenti e non solo, e bisogna capire come farlo mentre ci sono in ballo le dimissioni della presidente che, con tutta probabilità, saranno respinte dalla maggioranza (a quel punto Marini avrà due settimane di tempo per confermare che non tornerà indietro). Il parere, che arriverà la prossima settimana, riguarderà la data di scioglimento dell’assemblea, le prerogative degli organi interni del consiglio prima e dopo quel giorno, il destino delle tre mozioni di sfiducia presentate (e per ora congelate), il procedimento relativo alle dimissioni, quali atti possono approvare consiglio e giunta in questa fase, cosa possono fare le commissioni, a chi spetta l’indizione delle elezioni e in quale data.

DUCA NON RISPONDE AL GIP

Voto in autunno? Quest’ultimo punto è tra i più complicati. Secondo diverse sentenze le urne vanno convocate e aperte nel giro di tre mesi, ma ogni Regione di fatto si è regolata a modo proprio. Il risultato? in Abruzzo e nel Lazio ad esempio ci sono stati dei ricorsi, con sentenze di Tar e Consiglio di Stato arrivate però quando ormai le elezioni si erano già svolte. E poi ci sono i tempi: Marini avrebbe tempo per confermare le proprie dimissioni a questo punto fino al 22 maggio, e poi andrebbe sciolto (ma quando?) il consiglio. A quel punto scatterebbero i tre mesi e considerata l’estate di mezzo e tutti i tempi imposti dalle leggi, ecco che l’ipotesi più percorribile diventa quella di una domenica tra ottobre e novembre, magari insieme a Calabria ed Emilia, magari insieme a Calabria ed Emilia, dove le urne dovrebbero aprirsi proprio a novembre.

Twitter @DanieleBovi

 

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