Salvini, Meloni, Tesei e Berlusconi (Foto F.Troccoli)

di Daniele Bovi

Le bandiere forziste, pronte a sventolare nel tiepido pomeriggio perugino di ottobre, rimangono mestamente arrotolate. Silvio Berlusconi giovedì poco prima delle sei con il suo largo seguito si è infilato rapidamente nei sotterranei del Park Hotel di Ponte San Giovanni; niente microfoni, niente telecamere, niente contatto coi berluscones adoranti. Poco prima era arrivata Giorgia Meloni, ‘scortata’ dai Fratelli umbri, cioè dai Lothar Squarta e Prisco e dal senatore Zaffini; un po’ più tardi farà la sua apparizione Matteo Salvini, atteso dallo stato maggiore leghista. Il tempo di scendere nella sala sotterranea, dove c’è una temperatura caraibica, e Berlusconi è già lì a fare una delle cose che ama di più: creare e intrattenere il pubblico – in questo caso un mix di giornalisti e supporter – con un’irriferibile barzelletta su un asino e in particolare sulle virtù amatorie dell’equide; una delle centinaia di «storielle» raccontate nel corso di un quarto di secolo di vita pubblica e minuziosamente classificate dagli studiosi. Qualche risata, alcune un po’ forzate e di circostanza. Licia Ronzulli, attenta, osserva tutto.

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Instrumentum regni In realtà c’è poco da ridere nel senso che il riso e il comico sono stati, nell’epopea dell’unico e vero, benché acciaccatissimo, leader carismatico del centrodestra e sceneggiatore della più incredibile storia di potere della Repubblica, un vero instrumentum regni. Dentro Berlusconi c’è sempre stato una sorta di demone giulivo pronto ad abbattere le difese di chi gli sta di fronte e a tentare di sedurlo. Poi la conferenza stampa inizia, con Salvini e Berlusconi ai lati opposti del tavolo. Prima le donne, ci mancherebbe. Donatella Tesei ricorda i tanti problemi dell’Umbria e a Bianconi spiega che la regione «è già il miglior posto dove vivere, ma che serve uscire dall’isolamento e mettere in campo «azioni serie e concrete, dallo sviluppo tecnologico alla formazione dei giovani». «Noi – attacca siamo l’unica alternativa possibile per bloccare il declino della regione: gli umbri se lo meritano, e lo faremo senza favoritismi». Poi tocca a Meloni, che per un lapsus chiama già Tesei «presidente» e che lancia un appello ai delusi di Pd e 5s, «a chi credeva che la sinistra stesse con gli ultimi».

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Vinceremo Salvini evoca climi natalizi: «Il 27 vinceremo, aspetto questo voto come mia figlia il Natale; i bimbi in futuro segneranno questa data come la festa della libertà». Esagerazioni da campagna elettorale. La conferenza stampa perugina (peccato che i tre non abbiano risposto a nessuna domanda: «Abbiamo già detto tutto, cosa vuole chiedere ancora?» dice giulivo Berlusconi a un cronista locale) era di una certa importanza perché attraverso di essa si voleva dare l’idea di un centrodestra compatto e unito: «La abbiamo fatta anche da altre parti – dicono – e abbiamo sempre vinto». Il patriarca forzista prenderà la parola per ultimo e mentre i ‘ragazzi’ che ha fianco parlano lui mangia qualche caramella, riempie di appunti alcuni fogli, chiude gli occhi scostandosi un po’ dal tavolo, tamburella con le dita sul tavolo, ogni tanto sorride sornione. Tesei diventa il sindaco «che ha ben governato a Montefalcone» e Silvio, autodefinitosi «vecchietto che ce la mette tutta» per la fondamentale battaglia umbra chiede di arruolare proprio tutti: «Per fare votare telefonate anche alle vecchie fidanzate e ai vecchi fidanzati».

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Microfoni comunisti I microfoni all’inizio non hanno voglia di funzionare («ecco, 50 anni di comunismo») e poi, quando Berlusconi lo conquista tocca tutti i topoi dell’epopea, come in un’eterna replica: la discesa in campo nel 1994 contro i comunisti, l’avanzata della Cina, l’oppressione fiscale, la magistratura, la lotta per la libertà. Mentre Berlusconi berlusconeggia, Meloni e Salvini (a tratti parso annoiato) armeggiano con lo smartphone, si guardano in giro, non applaudono il patriarca; la sensazione che trasmette la scena, photo opportunity a parte, è quella di un certo gelo, o quantomeno di scarso entusiasmo. La certezza è che sabato c’è la piazza romana convocata dalla Lega e andata di traverso, complice la presenza di Casapound, a molti forzisti, da Mara Carfagna a Renato Brunetta fino a Osvaldo Napoli, ma non solo. Berlusconi non arretra e da Perugia ha detto che parteciperà perché «la situazione è peggiore di quella del 1994: la libertà è in pericolo. Al governo ci sono quattro forze con tante persone provenienti dal comunismo. C’è l’oppressione fiscale e giudiziaria: manderanno in carcere fino a 8 anni chi evade 50 mila euro». Quanto alla presenza di Casapound, «non lo so e non mi interessa, c’è a rischio – dice – la libertà e se c’è questo rischio vado dappertutto».

Twitter @DanieleBovi

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