Il consiglio regionale

di Daniele Bovi

Quasi 14 mila euro di buoni pasto. A tanto ammonta la cifra che la Sezione di controllo della Corte dei conti dell’Umbria chiede di restituire ad alcuni gruppi consiliari di Palazzo Cesaroni, sede dell’Assemblea legislativa regionale. Le delibere relative ai rendiconti 2022 sono planate nei giorni scorsi sulle scrivanie dei partiti e riguardano in particolare Lega, Pd, FdI, Patto civico per l’Umbria e M5S, mentre nessuna contestazione è stata sollevata nei confronti di Forza Italia, Tesei presidente e Misto.

I rendiconti Nel complesso tutti i rendiconti che i gruppi devono presentare ogni anno (obbligo introdotto dal governo Monti dopo i vari scandali registrati in giro per l’Italia), sono stati dichiarati regolari dalla magistratura contabile, a parte il capitolo relativo ai buoni pasto. «Le spese sostenute – nota la Sezione di controllo nelle delibere in cui questo problema è stato sollevato – pur astrattamente ammissibili, non sono supportate, nel caso concreto, dal presupposto legittimante, costituito dalla specifica previsione contrattuale del beneficio del buono pasto».

Le cifre Per quanto riguarda le cifre per le quali la Sezione di controllo chiede la restituzione, la parte del leone la fa la Lega (il gruppo più numeroso in aula visti i risultati delle regionali 2019) con 10.809 euro per quindici persone; a FdI ne vengo chiesti 1.466 per quattro persone, a Patto civico per l’Umbria (il gruppo di cui fa parte Andrea Fora) 1.473, al Pd meno di 200 (169) mentre per il M5S la cifra dovrebbe ammontare a poco più di 1.300 euro.

Il contratto La questione è semplice. La legge regionale 28 del 2012 prevede la possibilità di utilizzare i fondi pubblici assegnati ai gruppi consiliari per acquistare buoni pasto «in base al contratto sottoscritto». Il problema, fa notare la magistratura contabile, è che in quello che regola i rapporti fra i partiti e gli assistenti dei gruppi è scritto che «il trattamento economico è omnicomprensivo», ed è quindi «escluso ogni trattamento economico accessorio». La giurisprudenza costituzionale poi negli anni passati ha chiarito che i buoni sono una sorta di rimborso forfettario delle spese sostenute dal lavoratore, e che sono una «componente del trattamento economico spettante ai dipendenti».

Chiarimenti Diversi gruppi fornendo chiarimenti hanno sostenuto che i buoni non rappresentano un elemento integrativo della retribuzione «ma solamente una agevolazione di carattere assistenziale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoro. Il riconoscimento del buono pasto è finalizzato ad alleviare il disagio di chi è costretto a mangiare fuori casa». Argomentazioni che, come visto, non hanno convinto la magistratura contabile. I punti certi sono due: i rendiconti dei primi anni di questa legislatura sono stati validati senza obiezioni su questo fronte e la normativa sui buoni pasto non è cambiata; a cambiare, quindi, è stata l’interpretazione della Corte sulla materia. A questo punto la palla passa ai gruppi che dovranno decidere se restituire la somma o fare appello.