di Alberto Stramaccioni
Con la scomparsa di Francesco Mandarini viene a mancare uno dei padri della Regione dell’Umbria. Da giovane operaio della Perugina e sindacalista Cgil a 28 anni viene eletto nel 1970 quale componente del primo consiglio regionale dell’Umbria nelle liste del Partito comunista italiano, che rappresenta nella massima assemblea legislativa fino al 1995. Accanto all’impegno istituzionale assume anche incarichi di direzione politica nel partito divenendo segretario della federazione provinciale del Pci dal 1975 al 1979 mentre contemporaneamente guida il gruppo consiliare regionale. Negli anni Ottanta è nominato assessore regionale al Bilancio e alla Programmazione economica e poi dal 1987 al 1991 diviene il terzo presidente della giunta regionale dell’Umbria, dopo Pietro Conti e Germano Marri.
Con il cambio del nome e del simbolo del Pci decide di non aderire al nuovo partito, il Pds, e si dimette da presidente pur continuando a svolgere le funzioni di consigliere regionale. Negli anni Novanta pur non riconoscendosi in alcuna organizzazione della sinistra continua il suo impegno politico contribuendo a dar vita all’inserto mensile del Manifesto, Micropolis, e commentando poi le diverse vicende della politica umbra dalle colonne del Corriere dell’Umbria; articoli poi raccolti in un volume dal titolo Scritti a perdere.
Mandarini è stato soprattutto un esponente di quella seconda generazione del Pci formatasi negli anni Sessanta che ha avvicendato la precedente, proveniente dalla Resistenza, e la sua azione politica si è caratterizzata per una particolare attenzione alle esigenze che ponevano il movimento operaio e quelli giovanili e studenteschi, e per questo non risultava essere sempre in sintonia, almeno negli anni giovanili, con alcune prese di posizione del Pci. Critico verso la politica dell’Unione sovietica riteneva tuttavia che la sinistra italiana non dovesse rinunciare alla sua identità di forza che difende gli interessi dei lavoratori valorizzando il ruolo e le funzioni delle istituzioni rappresentative e anche per questo spesso condivideva le posizioni espresse da Pietro Ingrao.
Nel suo impegno politico-amministrativo rimane importante il contributo dato alla riforma della struttura burocratica della Regione e l’azione svolta per realizzare una nuova fase della programmazione economica dello sviluppo regionale dopo le prime esperienze degli anni Sessanta, con l’obiettivo di giungere a un utilizzo pieno dei Fondi europei per superare arretratezze e squilibri presenti nel territorio regionale. Questa sua attività ha aperto poi la strada nei decenni successivi a numerosi investimenti e a una significativa collaborazione tra pubblico e privato nell’interesse della crescita dell’economia regionale. Autodidatta, grande lettore e conoscitore del mondo politico e culturale anglosassone era dotato di un forte carattere ed esprimeva con grande lucidità e convinzione le sue idee, ma mentre appariva ruvido e qualche volta anche spigoloso nei rapporti personali, al tempo stesso era capace di rispettare le idee degli altri .