Il livello del Trasimeno

di Giacomo Chiodini*

Il Trasimeno è un luogo straordinario ma con molti problemi. Le principali criticità ruotano attorno alle periodiche fasi di siccità che ne riducono, con cicli anche decennali, il livello del bacino. Dai cassetti del dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Perugia è però riemerso un progetto – poi confluito nelle proposte della Regione Umbria per il Recovery plan – che può davvero mettere la parola fine alle ricorrenti crisi idriche. Si tratta di un’idea datata 2003, quando il lago precipitò sotto lo zero idrometrico di quasi due metri, ma che risulta ancora oggi attuale, innovativa, sostenibile e – si spera – risolutiva.

Non solo siccità: il lago oggi rischia l’eutrofizzazione Nei sempre più frequenti momenti di magra, la riduzione della quantità e della superficie complessiva delle acque trascina l’ecosistema a un passo dall’impaludamento. Nella fase di cambiamento climatico come quella che viviamo, il lago – senza l’intervento dell’uomo – è esposto già oggi a un’alterazione potenzialmente irreversibile. Strettamente legato al tema della povertà d’acqua, e con effetti accentuati dalla natura laminare del Trasimeno, s’impone ormai con forza il problema del rischio di eutrofizzazione. Un processo di modifica dell’equilibrio dell’ambiente acquatico, legato alla sempre maggior presenza di sostanze nutritive di natura organica e all’eccessivo proliferare di microalghe e clorofilla. Un fenomeno già visibile nei riflessi smeraldo che talvolta appaiono a chi osserva lo specchio d’acqua.

Non c’è inquinamento, ma manca il ricambio dell’acqua Si badi bene, non c’è presenza di inquinamento, come più volte evidenziato da Arpa e da soggetti autonomi come Legambiente. Perché l’anello che da anni raccoglie tutti i liquami fognari prodotti nel perimetro e li convoglia alla depurazione, garantisce un presidio costante contro eventuali sversamenti. Eppure l’acqua dal lago non esce se non per evaporazione, cioè senza un reale ricambio. Da qui – e sarebbero necessari studi più approfonditi – la tendenza all’eutrofizzazione.

L’equilibrio idrico si raggiunge con 15 milioni di metri cubi d’acqua aggiuntivi È stato ricordato, in un interessante convegno svoltosi a Castiglione del Lago poco prima della pandemia, che al Trasimeno sarebbero sufficienti 15 milioni di metri cubi d’acqua all’anno – ovvero circa quindici centimetri di livello – per veder ripartire lo sfioro dell’emissario e assistere finalmente al ciclo in entrata e uscita dell’acqua dal bacino. Un intervento dell’uomo necessario ad assicurare lo zero idrometrico e interrompere – o almeno rallentare – il processo di eutrofizzazione delle acque.

Perché Valfabbrica e non Montedoglio? Perché questa enorme quantità d’acqua che servirebbe al Trasimeno non può trovare soddisfazione nella diga di Montedoglio ed è necessario sopperire con l’allaccio a un secondo invaso artificiale? È una domanda più che legittima, effetto di un dibattito animato in questi anni attorno all’idea di immettere direttamente l’acqua dalla diga aretina, e non di utilizzarla solo per l’attingimento idrico come avviene ora. L’immissione diretta è ancora oggi tecnicamente possibile, ma di fatto la sua eventuale realizzazione si scontra con la crescente pressione politica sull’utilizzo di quell’invaso, fortemente orientato all’uso idropotabile e irriguo, sia della Toscana che dell’Umbria. Gravano infatti su Montedoglio gli acquedotti di Arezzo, Perugia Nord, Umbertide e altre aree dell’Alta Umbria; ma anche l’irrigazione del Trasimeno e in prospettiva – con il nuovo potabilizzatore di Tuoro – il sistema acquedottistico dei comuni della fascia settentrionale del lago. Le prese d’acqua dalla diga toscana per gli impianti irrigui, che verranno ulteriormente potenziati, riguardano pure la Valdichiana e Castiglion Fiorentino. La diga è quindi ormai “assegnata” a funzioni idropotabili e irrigue. Difficilmente le autorità preposte consentiranno in futuro i milioni di metri cubi di immissioni che sarebbero necessarie a stabilizzare il livello del Trasimeno.

Il ruolo della diga di Valfabbrica in chiave di sostenibilità idrica Quello che appare ormai difficile attendersi da Montedoglio può essere invece immaginato, grazie alla realizzazione di una condotta di allaccio, da Valfabbrica. Ed è questo il progetto che ha trovato giustamente spazio – e ampio sostegno istituzionale e politico – nelle proposte umbre per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Questa diga rappresenta infatti il futuro della sostenibilità idrica dell’Umbria, sia per la notevole capacità d’invaso – con 224 milioni di metri cubi d’acqua a regime, molto più grande di Montedoglio – che per la possibilità di distribuzione verso più zone della regione, sia a scopo idropotabile che irriguo, compreso il Trasimeno. Il lago potrebbe addirittura avere un allaccio diretto all’acqua in grado di estenderne il bacino idrografico ancora una volta – come avvenuto negli anni Sessanta del Novecento – con il canale artificiale della Tresa.

Allaccio Trasimeno-Valfabbrica: 120 milioni di euro e 5 anni per completare i lavori Il progetto – firmato nel 2004 dall’accademico Lucio Ubertini con il supporto dei docenti Piergiorgio Manciola e Stefano Casadei del dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Perugia – prevede il collegamento diretto dalla diga di Valfabbrica al Trasimeno. Il travaso sarebbe possibile, durante i mesi invernali, grazie all’utilizzo delle acque in esubero e mediante l’uso integrato degli adduttori irrigui, già in parte realizzati dall’Ente acque umbro toscano (Eaut) e da completare fino in prossimità del lago. Il prospetto preliminare individua la possibilità di addurre dieci milioni di metri cubi all’anno, incrementabili, per contenere le crisi idriche, senza alcun effetto limitante sugli impieghi prioritari di tipo irriguo e idropotabile della diga. L’intera opera – che darebbe soluzione anche alla regolamentazione dei livelli massimi in caso di piene – è modulabile a seconda delle esigenze. Una volta a regime si profilerebbe come uno strumento tecnico di ottimizzazione dell’intero sistema idrico umbro, che sebbene centrato sulle dighe di Montedoglio e Valfabbrica, troverebbe nel Trasimeno il naturale punto di collegamento e completamento. La stima dei costi è di 120 milioni di euro. La progettazione definitiva ed esecutiva, compresi i tempi amministrativi per l’approvazione dell’intervento e per l’affidamento dei lavori, dovrebbe richiedere circa un anno di tempo. Nella previsione del professor Piergiorgio Manciola – richiamata nella scheda inoltrata alla Regione Umbria dal think tank composto dall’Università di Perugia assieme all’Unione dei Comuni del Trasimeno, Corciano e Perugia – la realizzazione dell’opera potrebbe essere terminata già per agosto 2026.

La politica sostenga fino in fondo il progetto Per ora l’entusiasmo nei confronti di questa grande opera idraulica è stato corale e bipartisan. Il mondo accademico ha accolto con soddisfazione il recupero di questa “vecchia” soluzione, a partire dal Rettore dell’Università di Perugia Maurizio Oliviero e dallo stesso dipartimento di Ingegneria civile e ambientale. I sindaci del Trasimeno, guidati dal presidente dell’Unione Giulio Cherubini e sostenuti dai colleghi di Perugia e Corciano, sono riusciti a ottenere che nel recovery regionale venisse inserita questa proposta così essenziale per il territorio. La Regione Umbria, con in testa i consiglieri regionali eletti al lago (in un’articolata discussione soprattutto nella maggioranza), ha colto lo spirito di innovazione e sostenibilità della richiesta. Un’ampia convergenza d’intenti che deve ora trovare consenso a Roma, dove i parlamentari umbri dovranno costruire le condizioni per il concreto finanziamento da parte del Governo attraverso il Pnrr.

*Sindaco di Magione

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