di Federico Novelli, segretario regionale Psi
Ill.me Presidenti,
scrivo pubblicamente con la speranza che queste mie riflessioni suscitino una discussione diversa sulla vicenda Ast, a Terni, in Umbria e, auspicabilmente a Roma. Oggi dovrebbe cessare la cassa integrazione ordinaria disposta da Arvedi-Ast. La misura era stata adottata alla fine dello scorso mese di giugno «vista la contrazione del mercato di riferimento che ha determinato il conseguente calo delle commesse di lavoro, registratosi ormai da qualche tempo e proveniente soprattutto da parte della committenza abituale, nonostante gli sforzi profusi per reperire nuove ed alternative occasioni di lavoro, tutt’ora in corso».
A gennaio 2022, subito dopo l’acquisizione del polo ternano, il neopresidente di Ast, Giovanni Arvedi prendeva carta e penna e scriveva ai suoi nuovi dipendenti: «Da adesso sono al servizio del Gruppo Acciai Speciali Terni con l’impegno di renderlo una realtà industriale competitiva e ambientalmente sostenibile, attraverso investimenti in impianti e in ricerca e sviluppo, contando sul vostro impegno che so essere sempre stato profuso senza risparmio a beneficio della nostra azienda, con la quale il vostro legame è profondo». Per il Sindaco Latini si trattava «di passaggio storico per le acciaierie di Terni e per la siderurgia italiana». Per il Ministro Giorgetti «un tassello importante per la valorizzazione e il rilancio dell’acciaio italiano. Accogliamo con favore che la proprietà passi a un gruppo italiano e auspichiamo che questo si traduca anche in uno sviluppo dell’area industriale e in una tutela per il territorio interessato». Italianità dell’Azienda preservata anche secondo l’approccio sovranista del senatore Zaffini.
Lei, Presidente Tesei, commentò che la cessione «ha una valenza più ampia e rimette al centro la produzione di acciaio, rilanciando il tema nel nostro Paese». Ad aprile la nuova proprietà annunciava un ‘prossimo’ piano industriale e sociale per Terni che sintetizzava con la formula «un miliardo per un milione e mezzo», un miliardo di euro di investimento per portare la produzione di acciaio finito a un milione e mezzo di tonnellate all’anno; circa 400mila tonnellate all’anno di acciaio magnetico (produzione cessata a Terni da quasi vent’anni) colato a Cremona e trasferito a Terni per le lavorazioni a freddo; area a freddo dotata di un nuovo laminatoio, di una nuova linea di decapaggio laminazione e ricottura, un nuovo forno di riscaldo bramme e di due nuove linee a freddo per il magnetico. Grande attenzione anche alla fucinatura.
A luglio leggevamo che il ritorno al magnetico avrebbe potuto creare 300-400 nuovi posti di lavoro. A settembre, tuttavia, complice la crisi energetica e la guerra in Ucraina, proseguivano (fino a tutto ottobre) le fermate in molti reparti e la cassa integrazione. Un singhiozzo interrotto a novembre e ripreso a metà dicembre. Intanto la nuova proprietà al grido di battaglia «basta sfruttare Ast» ha messo in discussione l’intero indotto locale. A gennaio 2023, dopo un anno dall’acquisto, incontro al Mase tra Gruppo Arvedi, di Mimit, Invitalia, Regione Umbria e Comune di Terni, presieduto dal vice Ministro (il governo ha ritenuto di delegare così), che annuncia: «Si giungerà in tempi brevi all’accordo di programma per il rilancio di Acciai Speciali Terni, con ambiziosi obiettivi di riqualificazione ambientale e decarbonizzazione». Il centro destra che governa città e regione si prende i meriti, i sindacati lamentano il mancato coinvolgimento. A primavera tornano fermate e cassa integrazione. Sino ad oggi.
L’accordo di programma però non arriva. A primavera infuoca anche la campagna elettorale per le amministrative. In soccorso del candidato sindaco dei Fratelli d’Italia (che, complice la Lega, hanno dato il benservito all’uscente Latini), il ministro Urso questa volta trova il tempo di venire in visita a Terni e rassicura: «Siamo impegnati a sostenere il processo di riconversione del polo siderurgico di Terni, con un accordo di sviluppo che rientri nei parametri delle nuove regole europee. Una grande scommessa per l’industria italiana». Convoca un altro tavolo. L’accordo di programma non è ancora arrivato. Purtuttavia, per Lega e Fratelli d’Italia (che bacchettano Bandecchi per avere recentemente accusato Arvedi in Consiglio Comunale di non rispettare Terni) è una vittoria del centrodestra ternano, umbro e nazionale. Non c’è che dire, proprio una bella vittoria. Ma il punto non è la tempistica dell’accordo di programma.
Ill.me Presidenti mi sono dilungato e me ne scuso. L’ho fatto non per polemica, né per partigianeria – a ben guardare, infatti, di dichiarazioni trionfanti ne abbiamo lette altrettante di esponenti del centro sinistra (la cessione è avvenuta sotto il governo Draghi – ma per potervi sottoporre appieno questa riflessione. A metà degli anni ottanta (gestione pubblica) ‘il gigante malato’, produceva 1 000 000 di tonnellate di acciaio l’anno, era fra i primi cinque produttori mondiali di acciaio inossidabile, leader nazionale nella produzione dei laminati magnetici, dei tondini per le centrali nucleari, del materiale rotabile per le Ferrovie dello Stato, della ghisa in pani e sferoidale. Subito dopo la privatizzazione ‘ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni’ produceva ancora annualmente poco meno di 1 200 000 tonnellate, con un livello di utilizzo della capacità produttiva di circa il 100%.
Presto peggiora tutto.
Con la multinazionale finisce la polisettorialità e, tra l’altro, la produzione del magnetico. «Le multinazionali qui a Terni si sono comportate sempre tutte allo stesso modo: sono arrivate, hanno comprato, depredato e poi se ne sono andate» affermava un operaio intervistato in occasione del lungo sciopero del 2014. Dopo avere assistito negli ultimi decenni alle trasformazioni della fabbrica, alla chiusura di interi settori produttivi, alla sua privatizzazione, alla gestione tedesca, alla cessione del magnetico, al depauperamento del proficuo rapporto grande industria – tessuto imprenditoriale locale, ora, oltre un anno e mezzo dopo la cessione ad Arvedi, non sono ben chiare nemmeno quali saranno le reali scelte strategiche della nuova proprietà.
Una riservatezza (termine efficacemente utilizzato da Augusto Magliocchetti di Federmanager Terni) che assomiglia alla segretezza. Bella vittoria verrebbe da dire al segretario Veller ed al Consigliere Cecconi. Come ben sapete care Presidenti, questo lento declino, che nemmeno le dure proteste operaie dei momenti più caldi hanno mai arginato in questi decenni, oggi prosegue. E la politica, locale e nazionale, vi assiste, tra qualche reazione (a sinistra assai timida) e persino qualche applauso. E vengo al punto.
In questi decenni nessuna politica industriale è intervenuta a tracciare la strada di una fabbrica che esercita un certo peso sull’economia umbra e occupa circa 2.300 persone. Una fabbrica, soprattutto, che rappresenta un polo di eccellenza di un settore strategico dell’economia italiana. L’Italia è il secondo Paese europeo per produzione siderurgica. Il comparto è uno dei pilastri dell’economia nazionale. Il governo del Paese e quello dell’Umbria si riapproprino ed esercitino, allora, appieno, anche di questa loro delega. Tornino ad elaborare politiche industriali. Non lasciamo tutto in mano ai mercati. «L’Italia deve tornare ad avere una politica industriale, puntando su quei settori nei quali può contare su un vantaggio competitivo». Queste parole sono sue Presidente Meloni. Usate per chiedere la fiducia.
Ecco Presidenti, secondo noi, urge un quadro legislativo nazionale di riferimento della Siderurgia. Terni, Taranto, Piombino e le realtà del Triangolo industriale in tutte le loro declinazioni, necessitano di chiarezza nei momenti produttivi, nelle tipologie di prodotti e nei mercati nazionali ed internazionali. Con particolare riguardo alle questioni ambientali e ad una pianificazione degli investimenti necessari, sia pubblici (lo Stato deve guidare i processi industriali nei settori strategici) che privati, chiaramente nel rispetto delle stringenti normative in materia. Dentro a questo quadro urgono indirizzi ben precisi e scelte su Terni. Cito una recente dettagliata analisi di Augusto Magliocchetti di Federmanager.
Dopo aver descritto le gravi difficoltà dell’inox nel mondo, in Europa ed in Italia, indicando dati assai precisi cui rimando, sviluppa una riflessione che riteniamo di primaria importanza e riproponiamo: «La bilancia import/export che fino al 2015 aveva un andamento attivo … ha visto, nel 2022, le importazioni salire a 2,1 milioni mentre l’export è sceso a 1,1 milioni di t. … in Italia ci sono tre produttori di inox: Arvedi Ast con 1.040.000 t. ( prodotti piani ) Valbruna 257.000 t. e Cogne 216.000 t. (queste ultime due prodotti lunghi). … Una situazione particolare si registra nel rapporto tra produzione ed il consumo italiano con la prima voce ferma ad 1,5 milioni di t. ed il consumo a 2 milioni di t. … Il 70% dell’import italiano è attribuibile a coils e lamiere che è il settore in cui opera il sito di Terni. … Terni è una realtà produttiva importante non solo per l’Umbria ma di grande rilevanza anche nazionale in quanto parliamo del produttore di quasi il 70% in volume e di valori superiori in fatturato dell’Italia; i fabbisogni nazionali sono tali da consentire una crescita anche solo sul mercato domestico seppure il meno profittevole sul versante dei prezzi unitari».
Il ragionamento prosegue con il richiamo ad intervenire con politiche ben precise anche sui fattori localizzativi, ambiente, fornitura di energia, l’organizzazione dei trasporti, infrastrutture di collegamento ai porti ed alle aree di distribuzione dei manufatti, tradizione artigianale, benessere della forza lavoro e conoscenza (reti scolastiche, formazione, università e ricerca). Governo e Regione elaborino politiche ed intervengano per Terni.
Terni è una opportunità.
Terni è anche un simbolo. Impedite che l’Ast venga travolta dalla globalizzazione dei mercati e dal processo di deindustrializzazione del nostro paese.