di Diego Zurliarchitetto

Le cronache di mezza estate, abbondano di vivaci polemiche sulla realizzazione di nuovi parchi eolici o fotovoltaici a sud e a nord della penisola. Quella più  recente, ha per oggetto la costruzione di due campi eolici nella Maremma Toscana ed ha suscitato la rivolta di residenti, amministratori, vip, cacciatori, ambientalisti, proprietari di seconde case, ecc. seguita  dall’immancabile  crociata dell’ onnipresente  sottosegretario  Sgarbi, a onor del vero, da sempre fieramente contrario a tali installazioni nella strenue difesa del bel paesaggio italiano. 

La vicenda, in sé, potrebbe essere annoverata tra le stanche ritualità che vivacizzano il  dibattito estivo e, in quanto tali, destinate rapidamente ad esaurirsi; se non fosse che, ad una lettura meno superficiale, emergono due aspetti che dovrebbero destare una qualche attenzione.

Il  primo,  è che la strategia energetica nazionale in attuazione del REPowerEU –  la strategia europea per l’indipendenza energetica – prevede di realizzare massicci investimenti nel campo delle rinnovabili in quanto, secondo autorevoli studi, in Italia occorrerebbe costruire 9-10 GW/anno di fotovoltaico e circa 7 GW/anno di eolico per 6-7 anni, oltre ad un certo numero di piccoli invasi, per evitare il ricorso ai combustibili fossili per la produzione elettrica. A tale strategia, come è noto, sono legate alcune importanti linee di finanziamento del PNRR ragion per cui con tali conflitti dovremo inevitabilmente fare i conti.

Il secondo, il più insidioso, è legato ad una recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania che  ha respinto il ricorso proposto dal Ministero della Cultura contro la realizzazione, da parte di una impresa energetica spagnola, di un impianto fotovoltaico “a terra” su un’area di circa  310.000 mq. Niente di nuovo – si direbbe –  se non per il fatto che,  per la prima volta,  la tutela  paesaggistica espressa dal diniego della Soprintendenza, è risultata soccombente rispetto alla esigenza, ritenuta evidentemente prioritaria,  di realizzare l’opera per il suo alto contenuto ambientale. Tale inedita conclusione sarebbe stata  resa possibile dalla modifica introdotta all’art. 9 della Carta Costituzionale la quale,  da circa un anno, prevede  anche la tutela dell’ambiente, accanto a quella del paesaggio già contemplata nella originaria formulazione dei padri costituenti. Lascio volentieri ai giuristi il compito di dirimere la ‘vexata quaestio‘ di quale tra le  due esigenze di tutela – quella del bel paesaggio italiano e quella dell’ambiente  connessa alle  infrastrutture per contrastare il mutamento climatico, parimenti garantite –   debba prevalere in caso di contrasto. Ciò che ci sembra utile sottolineare è che conflitti di tale natura sembrano destinati rapidamente a moltiplicarsi. 

Sarebbe illusorio pensare che questo problema non riguardi  anche la nostra regione. In Umbria, ad esempio, sono tuttora aperte  vertenze molto delicate come la realizzazione di alcuni parchi eolici nell’orvietano, campi fotovoltaici di discrete dimensioni “a terra” un po’ ovunque, uno o più termovalorizzatori, impianti geotermici sull’Alfina dove è  prevista anche una diga e svariate opere di difesa idraulica, ecc.  Quindi la questione ci interessa – eccome – e anche assai da vicino.

La sentenza che  nega in qualche modo  il valore prevalente della tutela paesaggistica rispetto a quella ambientale, verrà prevedibilmente impugnata.  Tuttavia, nel frattempo, ha  prodotto effetti   di non poco conto  come quello della frattura  che dilata la sottile linea di demarcazione che separa paesaggio e ambiente. Frattura che ha anche visto schierarsi su opposti fronti    le stesse  associazioni ecologiste le quali, almeno sulla lotta ai cambiamenti  climatici,  sembravano marciare abbastanza compatte.  Legambiente, Wwf e Greenpeace risulterebbero infatti  al momento schierate per sostenere  le  esigenze della transizione energetica – cioè  in definitiva per l’ambiente generalmente inteso – mentre   Italia Nostra,  gli Amici della Terra, il Cai, ecc. parteggiano per la tutela del paesaggio:  cioè, in estrema sintesi, niente impianti da fonti rinnovabili, ecc. Secondo Italia Nostra, la stessa modifica in chiave ambientalista  apportata all’art. 9 della Costituzione, rappresenterebbe  l’espediente surrettiziamente  introdotto  dai nemici del paesaggio per annullare i pareri delle Soprintendenze al fine di rendere possibile, ovunque e comunque,  la realizzazione  di impianti  fotovoltaici e di pale eoliche.

Il cortociruito è pertanto servito su un piatto d’argento e districarvisi  non sarà semplice. In contesti simili, per superare la sindrome NIMBY (il celebre acronimo angloamericano che riassume una  frase tradotta comunemente in italiano in “non nel mio giardino”)  si  ricorre comunemente alla figura taumaturgica del Commissario. Nella maggior parte dei casi, finirà  prevedibilmente per affermarsi  la sindrome NIMTOF (acronimo meno noto che ho appreso in una conferenza  di molti anni fa negli Stati Uniti e che sintetizza la locuzione “not in my  term of office”: ovvero,  ci penserà  qualcun  altro dopo di noi) come alcune vicende di casa nostra, purtroppo, insegnano.

Ma, tornando alla sentenza e ai suoi effetti potenzialmente dirompenti che, come recita con  lessico  esuberante il testo del dispositivo,  “scolora la tesi attorea incentrata sulla predicata primarietà (o prevalenza assoluta) dell’interesse alla tutela dei valori paesaggistici”, occorrerà capire quali possibili soluzioni mettere in campo all’occorrenza. Non  si tratta semplicemente di operare un qualche  snellimento delle procedure, come il Ministro dell’Ambiente  ha proposto in una recente intervista né tantomeno immaginare che a toglierci le castagne dal fuoco possa intervenire un Commissario; perché nessun Commissario   non potrà mai disporre del  potere di stabilire se a prevalere debbano  essere le ragioni  dell’ambiente o quelle del paesaggio, entrambe equamente garantite dalla Carta Costituzionale.

Nessuno pertanto ha la soluzione in tasca e il rischio di compattare  nello stesso fronte dei contrari – gli alfieri  del NINBY  e la platea crescente  di quanti cominciano a sentire sulle proprie tasche   i costi della transizione energetica –  è molto forte; e l’ondata di “greenslash” – la frustata reazionaria  contro le politiche verdi – di cui si  colgono i primi inquietanti segnali nella pubblica opinione, potrebbe complicare ulteriormente uno scenario di per sé comunque assai problematico.

Forse più che un approccio ideologico ne servirebbe uno di tipo pragmatico dove i sostenitori dell’una e dell’altra  parte, oltre a  intravedere i vantaggi di medio e lungo periodo in termini di ambiente, salute, economia, occupazione che deriveranno dal REPowerEU,  ne possano immediatamente  apprezzare  anche quelli concreti e tangibili di breve periodo. Ed  in casi come questi, dove la composizione tra interessi diversi è l’unica strada percorribile, seguendo una strategia “win-win”, la cassetta degli attrezzi dell’urbanista potrebbe contenere qualche vecchio arnese riutilizzabile all’occorrenza. Ma un approccio di tale natura non sembra  interessare più a nessuno.

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