di Paolo Rossi*  

Nel mio ultimo libro ho cercato di comprendere quali possano essere oggi, in una serie di scenari di crisi, i contorni del rapporto tra pubblico e privato nel sistema bancario-finanziario, che come noto, è uno degli assi portanti dell’economia. Per far questo, ho ricostruito le tappe principali delle due crisi  più significative di questo inizio di terzo millennio, vale a dire la crisi finanziaria globale del 2008 che ha portato con sé  una lunghissima recessione e quella derivata dalla recentissima pandemia sanitaria, cui si è poi sovrapposta l’ulteriore crisi bellica tra Russia e Ucraina che ha generato un fenomeno inflattivo a due cifre ed una crisi energetica senza precedenti per l’Europa, che ora rischia di ribloccare la forte ripartenza dell’economia post pandemia.

Nel lungo periodo tra le due crisi – quella finanziaria e quella pandemica – si è assistito ad una significativa nuova centralità degli Stati nel supportate l’economia in alcune situazioni di fallimento, pur per ragioni diverse, del mercato.

Questa nuova centralità dell’intervento pubblico è  in controtendenza alle scelte assunte dall’Unione Europea dopo la crisi del 2008, che invece hanno fortemente ridimensionato il ruolo dello Stato nelle crisi bancarie-finanziarie; tuttavia, vicende come quella della crisi del ps hanno dimostrato che senza l’intervento anche diretto dello Stato, le conseguenze sarebbero state drammaticamente fallimentari per l’intero sistema bancario, e di conseguenza, per l’intera economia del nostro Paese.

Anche nella crisi pandemica gli attori pubblici a tutti i livelli, sia in ambito Ue, sia nazionale, hanno sostenuto in modo diretto e indiretto – attraverso il sistema bancario –  famiglie e imprese dapprima durante l’emergenza sanitaria, e poi nella fase della ripartenza. Senza tale intervento cosa sarebbe avvenuto? 

Gli insegnamenti derivanti da tali scenari di crisi impongono delle riflessioni su un ripensamento del futuro modo di concepire il rapporto tra pubblico e privato nel sistema bancario-finanziario; ciò anche alla luce di ulteriori elementi  di criticità  che derivano, da ultimo dall’insorgere del conflitto bellico russo-ucraino che hanno di nuovo alzato il livello di rischio del ripetersi di shock sistemici per l’economia globale, e di conseguenza per il sistema finanziario, in quanto la mancata «normalizzazione» delle filiere internazionali di valore, unitamente all’acuirsi della crisi geopolitica russo-ucraina, hanno inciso non solo sull’approvvigionamento delle materie prime e dei semilavorati, ma anche delle fonti energetiche, attesa la rilevante dipendenza di alcuni Paesi dell’eurozona dall’energia russa.

L’insieme di tali criticità ha determinato sia una contrazione della fase di ripartenza post pandemica dell’economia globale, ma soprattutto di quella dell’eurozona, coinvolta in modo più diretto con il mercato russo e ucraino; sia significativi aumenti dei prezzi ed una strozzatura dell’offerta. 

Poiché gli Stati Uniti sono autosufficienti  in termini energetici, è l’Europa a essere destinata a pagare il prezzo più alto rispetto alle iniziative comuni anche sanzionatorie assunte dai Paesi Nato nei confronti della Russia, sia per le pesanti ripercussioni al commercio internazionale, sia per gli effetti connessi alla ripartenza repentina ed aggressiva dell’inflazione, che erode il potere d’acquisto delle famiglie, rallentando i consumi globali; peraltro, l’inflazione non ha risparmiato nemmeno gli Usa, ove si consideri che nel marzo 2022 l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto del 7,4 % su base annua nell’eurozona, trainato dai rincari energetici, ma negli USA  è dell’8,5 %. 

UMBRIA ECONOMY PRESENTA IL LIBRO «LE DINAMICHE TRA LO STATO E LE BANCHE PRE E POST PANDEMIA»

In ogni caso, sul piano interno, le  ultime stime di Bankitalia sui conseguenti danni al Pil portano a ritenere che il prolungamento del conflitto russo-ucraino potrebbe ridurre di  circa 2 punti percentuali la  crescita tra il 2022 e il 2023; sulla stessa linea si pongono le stime delle maggiori organizzazioni internazionali in relazione al mercato globale, e non si può escludere uno sviluppo ancor più avverso di riduzione del PIL ove il conflitto dovesse causare, come ha già cominciato a fare, l’interruzione delle forniture energetiche da parte della Russia.  

L’ interruzione ormai in atto alle importazioni dalla Russia via gasdotti, a prezzi originariamente concordati a lungo termine (2024), rischia  di innescare una spirale recessiva finora mai sperimentata, in quanto i gasdotti costituiscono infatti una facility strutturale e dunque un incentivo-vincolo a utilizzarli per entrambi, venditori e acquirenti. Del resto, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento – come attualmente si tenta di fare o cercando di potenziare fonti alternative di approvvigionamento con altri partners internazionali, ovvero ricorrendo alle importazioni di gas liquefatto – non appare in grado di assicurare, quantomeno a breve termine, la stabilità delle quantità e dei prezzi necessaria di una merce essenziale per i nostri sistemi industriali e standard di consumi civili. 

Non può escludersi, nel frattempo, che il raddoppio o la triplicazione dei prezzi in atto metta fuori mercato molte filiere industriali; ciò anche nella prospettiva che l’annunciato price cap a livello comunitario possa calmierare la spirale speculativa .  

Infatti, rimane pur sempre il  fatto che il gap  che divide l’ Italia dal conseguimento dell’autosufficienza energetica con fonti proprie, rinnovabili o meno, ipotizzato a dopo il 2030, potrebbe risultare fatale per moltissime imprese. 

Peraltro,  in  siffatto scenario di tendenziale stagflazione, la politica monetaria si trova la complicata situazione di dover contrastare un’inflazione che dipende da fattori di offerta sui quali ha scarsa influenza, cercando di non appesantire un ciclo economico già in progressivo rallentamento.  

In tale contesto, le banche centrali hanno reagito al fenomeno inflattivo procedendo, per la prima volta dalla crisi del 2008, ai primi rialzi dei tassi di interesse. 

Anche in Italia, come per gli altri paesi dell’area dell’euro, in uno scenario di forte incertezza le previsioni di crescita sono state riviste al ribasso e le aspettative di inflazione sono salite. Malgrado  il rafforzamento  del 2021 favorito anche dal sostegno della politica economica e monetaria degli Stati per promuovere la ripartenza dell’economia post pandemia, il sistema delle imprese italiano appare infatti meno solido, in quanto l’evoluzione della sua condizione finanziaria è ora più incerta  a causa dei timori connessi con il prolungarsi della crisi sanitaria  e, al contempo, con l’insorgere del  conflitto bellico russo-ucraino. Così, agli effetti diretti ed indiretti della crisi pandemica si sono aggiunte le difficoltà di approvvigionamento di materie prime e prodotti intermedi, la maggiore incidenza della spesa energetica e le conseguenze sul commercio internazionale delle sanzioni imposte a Russia e Bielorussia.  Gli effetti del conflitto ucraino sulle imprese sono potenzialmente rilevanti  e dipenderanno dall’evoluzione del
quadro economico, dalle conseguenze sui costi operativi delle imprese derivanti dal rialzo dei prezzi di materie  energetiche e non, nonché dagli aumenti dei tassi di interesse.

In siffatto nuovo scenario di crisi del mercato generato dal conflitto bellico, sul piano interno si è avuto modo di riscontrare il permanere di  quella centralità  del ruolo di sostegno dei pubblici poteri già evidenziatasi nel  corso delle crisi bancarie ante pandemia  e poi consolidatasi nel corso dell’emergenza sanitaria. Ne costituiscono riprova gli interventi emergenziali dell’Esecutivo Draghi a sostegno alle imprese ed alle famiglie in relazione sia ai rincari delle bollette energetiche  e dei prezzi dei derivati del petrolio, sia ai danni provocati alle imprese operanti nei Paesi coinvolti dal conflitto bellico in atto.

Quanto poi al sistema bancario nazionale, i rischi derivanti dalla crisi bellica  sono stati fronteggiati, secondo Bankitalia, da una posizione più solida rispetto a quella  ante pandemia. Tuttavia, la compresenza degli effetti connessi con il graduale superamento delle misure di sostegno adottate nel corso della pandemia e di quelli generati dal conflitto russo-ucraino costituisce  per le imprese bancarie un significativo elemento di incertezza, atteso che le conseguenze potrebbero generarsi non solo  a breve, ma anche a medio-lungo termine: infatti, ai rischi di natura creditizia connessi agli effetti «long covid», si giustappongono anche quelli  delle situazioni creditorie pendenti verso  sia controparti russe, bielorusse e ucraine, sia imprese italiane sovraesposte agli effetti della crisi bellica, nonché quelli connessi ad una crescita inferiore alle aspettative ed al rilevante fenomeno inflattivo. 

Tale situazione macro ha inevitabili ricadute anche su un piano local; si pensi infatti, al sistema economico in Umbria, che  sin dal 2021 aveva dato importanti segnali di ripartenza ed ora rischia di avere un nuovo stop traumatico. 

Di qui ritengo che il carattere strategico di una nuova governance pubblica – non solo a livello macro, ma anche a livello local – deve essere in grado, in questo momento, di saper sostenere direttamente o indirettamente il sistema delle imprese umbre, con una modulazione pubblico-privata che incoraggi chi sta cercando con tutte le forze di investire sul proprio futuro: di qui il carattere strategico del sostegno finanziario pubblico regionale, che – accanto al sistema bancario regionale – possa, attraverso strumenti come Gepafin,  «scommettere» al rialzo sul made in Umbria accompagnando l’imprenditoria locale fuori dalle sabbie mobili di una delicata fase di empasse, evitandole così una deriva recessiva. 

* Professore di Diritto dell’economia all’Università degli Studi di Perugia e alla Luiss di Roma