I fasci riportati alla luce al Mercato

di Tommaso Bori*

La rimozione dell’intonaco posato a copertura del fascio littorio del Mercato coperto di Perugia, merita, a mio avviso, qualche riflessione in più rispetto a quanto si è detto e scritto in queste settimane agostane. Un gesto sbagliato, che non solo ha riportato alla luce il simbolo di un’epoca infausta, quella della dittatura fascista, ma, soprattutto, che ha determinato la rimozione di quel velo di malta che i perugini, dopo la liberazione, avevano consapevolmente deciso di apporci, al fine di coprire la vergogna di ciò che rappresentava. Il valore storico e politico di quella calce, impastata, al tempo, con sacrificio e orgoglio, grazie ai valori democratici e antifascisti, oltre che in forza di un vecchio decreto luogotenenziale di rimozione degli elementi fascisti o filofascisti dalla pubblica amministrazione, non è stato debitamente valutato. Un grave errore: perché quell’intonaco vecchio di oltre mezzo secolo meritava, senza dubbio, più rispetto, perché attraverso di esso un’intera città, aveva deciso di destinare all’oblio un simbolo della prevaricazione fascista, a cui Perugia si era ribellata.

ROMIZI: «NON SONO OSTAGGIO DI REAZIONARI»

Non spetta a me giudicare le ragioni di questa scelta. Prendo atto che una mattonella dipinta in epoca fascista con un simbolo seriale, nel 2021, torna ad assumere un valore artistico e culturale, e merita di essere riscoperta e mantenuta nel tempo; mentre quell’intonaco, simbolo del riscatto civile della città e della fine delle prevaricazioni fasciste, ha finito per farsi in mille pezzi, gettati chissà dove. Questo è ciò che mi indigna di più e ritengo inaccettabile. In questi giorni ho letto molte prese di posizioni sulla vicenda. Non ultima quella del sindaco Andrea Romizi. Comprendo il suo imbarazzo a dover intervenire su una vicenda che tira in ballo la storia e la memoria della città, diverse istituzioni, ma soprattutto rischia di essere controproducente per l’immagine di Perugia e per il futuro del nuovo Mercato coperto. Peraltro, dopo cinque anni dall’inizio dei lavori di restauro, quella struttura continua a rimanere chiusa faticando a trovare investitori e un’identità ben precisa. Ritrovarsi adesso anche un grande fascio littorio come insegna che campeggia all’ingresso, non è certo un bel biglietto da visita per l’immagine di quello spazio commerciale, né, tanto meno per la sua capacità di essere maggiormente attrattivo.

Al contrario, musealizzare quel manufatto, anche a seguito di un restauro conservativo, sarebbe stata la cosa migliore per tutti. Qualcuno, però, ha evidentemente voluto e potuto dare un segnale, e ora la città ne paga le conseguenze. Un restauro che ha il sapore della restaurazione non può certo che creare ancora imbarazzi nel prossimo futuro. Le ipotesi, più o meno accettabili, di contestualizzare e storicizzare quel manufatto, rappresentano un estremo tentativo per riparare a una scelta sbagliata che, come tale, andrebbe corretta e non certo edulcorata. La verità, è che la malta di cemento e sabbia con cui era stato ricoperto quel simbolo fascista ha un valore nettamente più alto rispetto al simbolo stesso e per questo non andava semplicemente rimossa. A oggi, abbiamo ancora la possibilità di fare la scelta giusta, ora manca solo la volontà del Sindaco e della sua amministrazione.

*segretario Pd Umbria

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