Una veduta del centro di Perugia (©Fabrizio Troccoli)

di Lucio Caporizzi

Periodicamente torna alla ribalta – si fa per dire – il tema annoso di «Perugia Capitale», questione sintetizzabile nella domanda «Perugia rappresenta per l’Umbria ciò che, per esempio, Milano rappresenta per la Lombardia o Firenze per la Toscana?». Posto che la risposta è probabilmente no, ciò dipende da responsabilità politiche, da ragioni storiche, da difficoltà del capoluogo a svolgere per intero il suo ruolo? Una Perugia che si presenta con luci e ombre, ben rappresentate, per esempio, dalla bellezza ed eleganza di Corso Vannucci in versione natalizia e dallo squallore e degrado che appare scendendo le scalette di Sant’Ercolano, nella curva dove a sinistra si dipana una teoria di esercizi chiusi, sovrastati da cavi elettrici penzoloni e muri scrostati.

Se si vuol provare ad affrontare la questione in modo organico e senza scadere nella strumentalizzazione politicaè colpa di quelli di adesso, no, è colpa di quelli di prima – il tema va opportunamente contestualizzato nell’approccio storicamente seguito in Umbria in fatto di programmazione economica e territoriale. Per molti anni aggiungere al nome Umbria l’aggettivo «policentrico» è stato una sorta di imperativo, quasi come, da qualche tempo, la combinazione dell’aggettivo «sostenibile» con la parola «sviluppo»; a tale proposito, verrebbe da dire qualcosa sulla insostenibile leggerezza delle frasi fatte, una volta che diventano tali in quanto sganciatesi dal significato originario.  Nell’Italia dei mille campanili e dei mille particolarismi, credo che il carattere di policentrico possa andare bene per qualunque regione, forse in Umbria (ma anche nelle Marche, per esempio) un po’ più che altrove, ma insomma si tratta più di una constatazione che non di una idea-guida.

Che poi, data la storica tendenza alla frammentazione e al particolarismo che caratterizza tanto l’Umbria quanto l’intero Paese, l’idea-guida è invece senz’altro quella di promuovere e rafforzare le relazioni e gli elementi di integrazione tra i territori, mettendo in conto che i fattori e le forze che determinano e definiscono tali relazioni travalicano tranquillamente gli angusti confini regionali, tanto più per una regione piccola come la nostra. Sta di fatto che “paradigmi” come il policentrismo e la Città-regione, se da un lato hanno favorito una certa coesione territoriale dell’Umbria, dall’altro hanno sovente portato a una “spalmatura” di risorse scarse sul territorio, processo questo che fa pensare a quello che dicono i francesi riguardo alla cultura, che è come la marmellata, meno se ne ha, più la si spalma… ma lo strato è sottile!  Inoltre essi hanno probabilmente giocato un ruolo non secondario nell’impedire che il capoluogo assumesse quel ruolo trainante che, a detta di molti, manca alla regione.

Sviluppare una cultura territoriale “vincente” è ovviamente importante per l’intera Umbria, ma addirittura essenziale per Perugia che ne è la città principale, con tutto ciò che questo dovrebbe comportare, in termini di “onori e oneri”. Forse mai come ora l’Umbria ha bisogno del suo capoluogo (diciamo pure «Capitale»!) e Perugia dell’UmbriaLa nuova geografia economica europea – anche in conseguenza dell’allargamento dell’Unione – ha visto in misura crescente la ripartizione geografica delle attività basarsi sui vantaggi assoluti di localizzazione offerti dai vari territori che vanno sviluppandosi per effetti di agglomerazione intorno a metropoli regionali, in ciò prescindendo in buona misura dalla struttura dei vantaggi comparati a livello di Stato-nazione. A loro volta, quel coacervo di attività tecnologicamente avanzate (e ad alto reddito) rientranti nella generica definizione di economia della conoscenza tendono a concentrarsi in prossimità di aree urbane di una certa dimensione, che non a caso fanno registrare i più alti tassi di sviluppo.

Che significa quanto sopra velocemente richiamato? Che per giocarsi le proprie carte nella competizione territoriale a livello europeo (si parla tanto di competitività e attrattività territoriale) una regione deve poter contare su almeno un’area territoriale di sufficiente taglia demografica (si parte da una soglia di 200 mila abitanti, se non si ha la pretesa di competere con Inner London!) e soprattutto dotata di funzioni avanzate come una formazione di alto livello e centri di ricerca, infrastrutture materiali e immateriali adeguate, servizi avanzati e di qualità. Mai come ora, il progresso economico e sociale di una nazione si fonda sulle sue città. La città rappresenta il luogo dove si accumula il sapere, si sperimentano le regole del vivere comune, si intrecciano l’intrapresa economica e la coesione sociale, si continua a progettare il futuro. Per la prima volta nella storia umana la maggior parte delle persone vive nelle città.

In Umbria non abbiamo un’area che soddisfi in toto queste condizioni, ma non vi è dubbio che Perugia e il suo territorio ci si avvicinano più di altri.  Tutto ciò presuppone necessariamente scelte di concentrazione delle risorse e degli sforzi, tenendo presente che mentre per certe funzioni una capillare distribuzione sul territorio è possibile e auspicabile (sostanzialmente i servizi di base), più si sale nella scala dell’eccellenza più è avvertita l’esigenza della concentrazione (alta formazione, ricerca e sanità ad alta intensità tecnologica sono validi esempi). Non sempre in Umbria si è agito in coerenza con tali criteri. Questo non starebbe a significare, d’altra parte, l’abbandono dell’idea d policentrismo, ma una sua riformulazione in chiave più moderna.

Secondo gli approcci più avanzati, infatti, il nuovo fenomeno che caratterizza il secolo attuale è il passaggio dal concetto di metropoli a quello di “città policentrica”, intendendo con tale definizione un’area vasta con almeno un grande centro di riferimento e un insieme di altre città di varia dimensione interconnesse tra di loro ma ciascuna dotata di una propria autonomia funzionale e vocazione. Questo modello, che va realizzandosi con riferimento alle grandi metropoli regionali, si può applicare anche a territori e città meno grandi e potrebbe ben riferirsi anche alla nostra regione, rappresentando quindi una evoluzione del tradizionale concetto di «regione policentrica», sempre che l’Umbria riesca a realizzarsi meglio come sistema integrato e Perugia intenda fino in fondo assumere e svolgere il ruolo che le compete dal punto di vista sia dei già richiamati onori e oneri, in un intreccio di interessi reciproci tra la regione e il suo capoluogo.