di Danilo Nardoni e Daniele Bovi
Due isole, la Sicilia e la Sardegna, e un luogo straordinario come l’Umbria, ormai una sorta di seconda patria per il trombettista Paolo Fresu che spiega a Umbria24 cos’è «Two Islands», il progetto (prodotto in collaborazione con Umbria Jazz e Amici della musica) che insieme al violoncellista siciliano Giovanni Sollima e all’Orchestra da Camera di Perugia verrà presentato domenica 22 al teatro Morlacchi di Perugia, nell’ambito della stagione degli Amici della musica, e una settimana dopo a Terni, a Umbria Jazz spring. Una collaborazione, quella tra Fresu e l’Orchestra, sempre più solida, partita a Orvieto e consolidatasi con lo straordinario successo dei concerti dedicati al Laudario di Cortona.
Veniamo subito al progetto: in questo «Two Islands» si incontrano due isole, ma anche due mondi, il jazz e la classica, e due interpreti come voi che hanno da sempre il marchio della sperimentazione, della musica senza confini. È quindi questo il punto di incontro?
«Tutto nasce prima del Laudario. Tre anni fa a Orvieto suonammo insieme «Vino dentro», colonna sonora di questo film sul vino registrata con l’Orchestra; ci siamo molto divertiti. Con loro ho un rapporto bello e virtuoso, una bella amicizia. Con Sollima volevo suonare da diversi anni, lo avevo invitato al mio festival in Sardegna («Time in Jazz», ndr) ma suonava con il suo gruppo; da lì è nata l’idea di un nuovo progetto in grado di mettere insieme due solisti e due isole. Ognuno metterà un pezzo del suo percorso e insieme racconteremo le isole da diversi punti di vista. Io ho scritto cinque pezzi per orchestra e solista mutuati da un libro di Sergio Atzeni, “Passavamo sulla terra leggeri”, che racconta una sorta di saga della Sardegna».
Che musica ascolteremo a Perugia e Terni?
«Non so che cosa porterà Giovanni, ci confronteremo il giorno prima e molte cose le scopriremo lì. I pezzi che porterò io hanno in parte a che fare con il jazz ma anche con la classica e la contemporanea; il suono complessivamente però guarda più alla classica. Oltre ai brani miei e suoi ci incontreremo anche sul piano del duo; comunque decideremo lì a Perugia».
Ormai sono molte le tue collaborazioni e i progetti speciali. Rispetto ai precedenti, questo con Sollima come si differenzia?
«Direi che si tratta della prosecuzione di un percorso. Il Laudario ha rappresentato un inaspettato confrontarsi con una cosa che sembrava un po’ una follia. Quando Paolo Franceschini, primo violino dell’Orchestra, mi ha chiesto di fare una cosa sul Laudario gli ho detto “sei matto”; poi ho accettato, ci siamo buttati a capofitto ed è venuta fuori una cosa molto bella. “Two Islands” è la naturale prosecuzione di un percorso fatto con l’Orchestra da Camera di Perugia, ma anche con i Virtuosi italiani di Verona, con i quali lavoriamo a un progetto su Bach, o con il Quartetto d’archi, oppure sulla musica inglese dell’Ottocento. Nel complesso l’idea di lavorare con gli archi mi è sempre piaciuta e questo progetto unisce diversi suoni: la musica straordinaria di Sollima e la scrittura totalmente nuova e originale portata avanti con l’Orchestra».
Oltre che a Perugia e Terni suonerete «Two Islands» anche in altre città?
«Probabilmente a Tharros, in Sardegna, un luogo straordinario che si affaccia sul mare e che rappresentava uno snodo per i traffici dei fenici. Suonarlo lì ha anche un senso antropologico che rende ancora più interessante il progetto».
Torni a lavorare con l’Orchestra da camera di Perugia dopo il progetto con il Laudario di Cortona insieme a Di Bonaventura. Come si è creato questo gran feeling?
«Con l’orchestra è nata un po’ così, non ci conoscevamo ma poi con “Vino dentro” ci siamo trovati molto bene e da lì è nato un bellissimo feeling; è un’orchestra molto particolare che lavora con una passione unica nel suo ambito: non guardano l’orologio e sono molto come noi, hanno un atteggiamento molto jazz e sono molto uniti; il loro suono è personale e con loro è facile fare le cose, ci divertiamo e c’è un atteggiamento costruttivo. Quindi siamo sempre molto disponibili dato che ci piace lavorare con loro».
Ci sarà quindi la Sardegna, la Sicilia ma anche tanta Umbria, perché oltre all’Orchestra la produzione è degli Amici della Musica di Perugia in collaborazione con Umbria jazz. Ormai sei un umbro di adozione viste le tue frequentazioni al festival jazz e le collaborazioni sempre più intense con il mondo musicale di questa regione…
«Sicilia e Sardegna sono due luoghi autoctoni con una loro grande forza, l’Umbria è una sorta di isola nella nostra Italia, con grande cultura e storia. Ci sono i festival importanti ed è un luogo dal quale non si può prescindere. In Umbria, e penso a Umbria Jazz ma pure alla Sagra musicale umbra e agli Amici della musica, i progetti nascono con una stretta di mano, cosa rara. C’è un bellissimo modo di creare collaborazioni contemporanee».
A proposito di Umbria Jazz, che musica porterai al festival di luglio?
«Suonerò due volte, una con il quartetto Devil, il mio gruppo con cui ho pubblicato da poco il nostro nuovo disco “Carpe Diem”, che sta andando bene, e poi per gli 85 anni di Quincy Jones, un’icona della musica del mondo; sono molto onorato di far parte di questa brigata».
Sei anche molto attento e sensibile a tematiche extramusicali: penso a quando lo scorso anno hai voluto portare il jazz italiano nelle zone del terremoto. In questi casi quanto è importante la musica?
«Molto. Saremo a Scheggino anche quest’anno mentre quello precedente siamo stati pure a Camerino e Amatrice, dove abbiamo contribuito alla costruzione di un centro polifunzionale per la cultura, mentre il 2 settembre daremo vita nuovamente, all’Aquila, alla maratona musicale con centinaia di musicisti. Scheggino è un luogo che ha molto sofferto per il calo del turismo, come l’intera Valnerina; è il nostro modo di infondere fiducia. La musica, che serva a questo, oppure a portare denari o a far rivivere centri storici, è uno strumento straordinario, che aiuta nei momenti di difficoltà. Non potrà cambiare le sorti del mondo ma può fare moltissimo e deve stare dalla parte dei deboli, perché riesce senza le parole e senza orpelli a toccare il cuore delle persone. Noi musicisti abbiamo quindi una grandissima responsabilità».
Quali sono i nomi del mondo jazz, specialmente quelli dei più giovani, da consigliare agli appassionati e da tenere in particolare considerazione?
«È difficile e rischierei di essere di parte. Posso dire che alcuni dei nomi buoni fanno parte della mia etichetta. In questo periodo sto producendo il disco, dedicato alle donne e che uscirà a maggio, di una pianista siciliana che tra l’altro ha abitato a Perugia, Sade Mangiaracina; a giugno uscirà quello del talentuosissimo sassofonista Raffaele Casarano, che ha suonato anche con il batterista Manu Katché. Da poco ho sentito il trio di Stefano Bagnoli, che suona nel mio quartetto, nel quale c’è un pianista di Milano impressionante, Giuseppe Vitale. In Umbria poi ci sono tantissimi musicisti molto bravi, come Ramberto Ciammarughi, pianista straordinario ma poco considerato, e tantissimi giovani. Ma faccio nomi a caso perché ce ne sarebbero moltissimi altri. In generale, rispetto a prima ora anche grazie alle scuole e a Internet ci sono giovani già esperti e con una discreta maturità».