Sandro Fioriti con Roger Federer

«Nei miei piatti c’è molta Umbria, la regione dove sono nato, con i suoi tartufi e poi molta cucina romana con cui sono cresciuto». Da Gualdo Tadino se ne è andato quando era un bambino e ne ha fatta di strada, Sandro Fioriti, tra gli chef italiani più famosi a New York, dove gestisce il suo ristorante Sandro’s, nell’Upper East Side. Qui fanno la fila vip, americani e italiani, per gustare i suoi piatti della tradizione del Centro Italia. «Anni fa – racconta in una intervista alla Voce di New York – ho servito il tavolo dove sedevano Oriana Fallaci, Isabella Rossellini, Giancarlo Giannini, Anthony Quinn mentre per i Clinton ho preparato un pranzo con una zuppa, molto amata da Hillary, un’insalata di funghi porcini e tartufo bianco. Sono di casa Francesco Totti, un tempo insieme alla squadra della Roma e da me sono passati personaggi famosi italiani e americani».

Radici umbre La sua vita è stata un’avventura. A sette anni scappa due volte di casa: il padre lo vorrebbe carabiniere, lui ama stare in cucina. La gavetta la fa a Roma. Poi negli anni Ottanta conosce il famoso ristoratore Tony May, che gli offre la possibilità di seguirlo a New York per aprire, nel 1985, il primo Sandro’s. America, ma senza scordare le origini. «La mia cucina è amata perché è semplice nel senso di autentica, popolare nel senso che nasce dalla tradizione e quella stessa tradizione rispetta. Non amo i fronzoli, le cose superflue, nella vita come in cucina. E poi perchè nel mio ristorante si sentono a casa. L’atmosfera è conviviale, rilassata». Secondo Sandro «bisogna ripartire da dove tutto è cominciato. Dalle sagre di paese, dai sapori veri, dalla cucina che nasce in casa e nelle tavole delle nostre nonne prende forma. Vorrei dire agli chef italiani in America di non compromettere mai la tradizione pur di accontentare il palato americano».

Educazione ai sapori «Ricordo quando ho presentato un agnello fatto come si faceva a casa mia o la trippa, la porchetta fatta da me. Sono stati piatti che all’inizio mi sono stati rimandati indietro», dice nella lunga intervista. Un lavoro di educazione che ha dato i suoi frutti, se il New York Times ha definito i suoi spaghetti all’Amatriciana i migliori d’America. «Mi sento a mio agio con una cucina che mi rappresenta ovvero una cucina fatta di ingredienti che rispettano il cibo e chi lo consuma, con una tecnica che non va a snaturare e stravolgere i sapori ma semmai ad esaltarli. Una cucina, la mia, che affonda le tradizioni in Umbria e nel Lazio. Sono sapori di infanzia ma anche nuovi perché nello stesso tempo dobbiamo creare ed innovare». E gli ingredienti? «Io vado a fare la spesa ogni giorno al mercato. A New York si trova di tutto e quello che non trovo me lo faccio mandare dall’Italia. Tutto è possibile oggi».

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