di Mar.Ros.
«Damme mpo’ ‘n consijo: che je dico stasera a mi moje quanno stamo a cena, come è annato sto tavolo a Roma?». Questa la frase pronunciata da un lavoratore Treofan all’arrivo del pullman da Roma a Terni, in piazzale Donegani, prima di scendere e rincasare il 25 maggio scorso; parlava con un collega.
Treofan Terni Quella espressione, in dialetto ternano, voleva chiaramente essere una battuta; tuttavia racchiudeva in sé tutta la difficoltà di dare un senso a una vicenda che si trascina da anni, quella di un’azienda messa in liquidazione dopo la distrazione degli ordini verso altri siti della casa madre indiana Jindal. La storia di una ricercata reindustrializzazione anche per la tenuta dell’intero polo chimico, che più volte ha fatto sentire le maestranze vicine a soluzioni non credibili fino in fondo, poi, in ogni caso, sfumate. Persino l’attuale sindaco di Terni, Stefano Bandecchi ha incrociato la strada della fabbrica che produceva film di polipropilene (pellicola per alimenti, tabacchi e cosmetici). Ora all’orizzonte c’è la ripresa produttiva in continuità e la rioccupazione totale della vecchia forza lavoro (90 circa le unità ancora coinvolte), ma la trattativa è in salita. Questo è emerso dall’ultimo vertice romano dedicato.
Il Polo chimico di Terni Da un lato la polacca Visopack interessata a capannoni e impianti, dall’altro Treofan Germany che diserta i tavoli ministeriali (lasciando il posto ai propri legali) e complica il closing blindando l’appetibile laccatrice custodita nello stabilimento. Non vuole cederla; piuttosto aiuterebbe a pagare tutti gli istituti ai lavoratori con 2,5 milioni di euro. La cifra però non soddisfa la controparte che chiede altri 3 milioni. Da qui deriva la faccia tosta di Treofan nel chiedere ‘che ce li metta il governo’. Dopo tre anni però a quanto pare il vaso è colmo pure in via Molise a Roma. Stavolta la sottosegretaria al Mimit, Fausta Bergamotto, ha velatamente minacciato che altri finanziamenti pubblici a favore di Treofan per le produzioni pugliesi potrebbero anche sparire se non c’è rispetto per Terni.
La preoccupazione Un dubbio forte però pervade i lavoratori: ‘Se è vero che una laccatrice costa circa una decina di milioni di euro e ottenerla non è impresa da uno schiocco di dita, perché Visopack si accontenterebbe di 5,5 milioni? Senza quel macchinario non ci sarebbe posto per tutti. Sarà disposta poi ad acquisire una nuova laccatrice? Quando?’. In attesa che Treofan produca il documento richiesto dal ministero, rimangono insomma tanti gli interrogativi senza risposta. Ci si chiede anche se non sia a rischio la volontà dei polacchi di portare a termine l’operazione. Da questo punto di vista importanti rassicurazioni sono arrivate dai sindacalisti che hanno preso personalmente parte all’ultimo confronto istituzionale, ma intanto quel tavolo, sul quale c’erano grandi aspettative, ha lasciato un retrogusto amaro.
La pancia dei lavoratori I meccanismi dei rapporti tra player privati concorrenti, dentro le stanze del dicastero di Adolfo Urso, si incrociano coi meccanismi istituzionali e quelli dei finanziamenti pubblici, trovando via via i ‘dossi’ delle strategie politiche e della propaganda dentro le quali i sindacati cercano di riportare sempre in auge l’interesse dei lavoratori. Il Mimit ora attende un documento da Treofan-Jindal poi riconvocherà le parti. Quella frase ‘Che je dico a mi moje?’, nel frattempo, ha tutto il sapore della frustrazione per una cassa integrazione che si rinnova di 12 mesi in 12 mesi, il sapore del timore che la luce non arrivi mai e che il tunnel sia ancora tanto lungo. E la disparità, tra chi ha sempre e comunque lavorato a stipendio pieno e chi è in cassa integrazione dal principio, è una palpabile irritata tensione che condiziona i rapportri tra coloro che sono chiamati a fare squadra per difendere il proprio posto al polo chimico.