di Mar. Ros.

Come emerge dalla rassegna stampa di Siderweb (anche se la stima non è del portale, come precedentemente riportato), e la cifra coincide con quella di Augusto Magliocchetti di Federmanager, l’affare Ast si aggira attorno al miliardo. Tanto servirebbe per acquisire l’acciaieria di Terni che – riferisce Magliocchetti – se confrontata con competitors europei o mondiali, è una realtà dimensionalmente molto piccola». Non a caso l’amministratore delegato Massimiliano Burelli ha spinto in questi anni sull’idea di azienda sartoriale; probabilmente puntando anche ad una drastica riduzione delle giacenze, limitando così i costi nei bilanci annuali.

Acciaieria di Terni Se Ast è considerata piccola è per il fatto che in un anno l’obiettivo massimo di produzione, almeno ante Coronavirus, era di un milione di tonnellate; tra i suoi diretti competitors europei, il budget è di almeno 2,5 mln di tonnellate. Ma se Burelli è convinto che l’asset sia appetibile è perché, almeno prima della pandemia, se il consumo di acciaio inox mondiale nel 2019 è stato di 43,8 milioni di tonnellate, si stimava una crescita del 25% entro il 2025. Chiaro è che la crisi Covid-19 ha almeno temporaneamente scombinato i piani e se è vero come è vero che il fatturato di Acciai speciali Terni, per il 30% è legato all’automotive, come dice senza ombra di dubbio il numero uno di Thyssenkrupp Italia «Il bilancio sarà drammatico». Le premesse purtroppo ci sono tutte. Dopo lo stop durante il lockdown, di fatto non c’è stata una vera e propria ripresa dell’attività siderurgica ternana: il Tubificio sta marciando su un pacchetto ordini del 20% rispetto alle previsioni di inizio anno e tutti gli impianti, anche per il mese di giugno, subiranno uno stop più o meno lungo. Non basterà la cassa integrazione straordinaria istituita per fronteggiare i contraccolpi dell’emergenza sanitaria e lunedì è in programma un nuovo incontro tra vertici aziendali e sindacati per cercare un accordo proprio sull’ammortizzatore sociale volto a gestire il lungo stop. In generale, secondo le dichiarazioni di Burelli, da qui alla fine dell’anno siderurgico (30 settembre), Ast rispetto al milione di tonnellate di acciaio fuso da ‘accordo ponte’, marcerà a -35% e la riduzione della turnazione presso alcune linee ha già messo a rischio i 150 lavoratori interinali attualmente occupati in fabbrica.

Vendita Ast E ora che Thyssenkrupp ha rimesso Ast sul mercato (per fortuna con tutti gli asset compreso il commerciale), oltre al timore di un’operazione tesa a fare solamente cassa, nonché la paura di un indebolimento dell’appeal del sito di Terni durante la fase di transizione fino allo scorporo dalla casa madre tedesca (ottobre) e alla cessione o ingresso di un azionista di maggioranza (nell’arco di 9-12 mesi), torna prioritaria la questione delle importazioni. «Va inviato un messaggio forte e chiaro ai decisori politici europei – tuona Magliocchetti – perché altrimenti Ast finirà per essere fortissimamente penalizzata. Siamo attualmente a 80 mila tonnellate mese di import da paesi extra ue, vale a dire 1 milione l’anno su 3 milioni di fabbisogno europeo annuale. L’Europa – sottolinea – deve assolutamente fare la sua parte in termini di dazi». A pesare più di tutto sono le normative a salvaguardia ambientale che, per quanto condivisibili, impattano significativamente sull’economia dei produttori che si affacciano così sul mercato con prezzi del prodotto finito che non sono competitivi. Su questo, nel corso del recente live talk proposto da Umbria24 hanno insistito molto sia Simone Lucchetti, segretario Uilm Terni che il consigliere regionale del M5s Thomas De Luca. L’uno ha ricordato: «Viaggiamo su una differenza di prezzo di 150 euro a tonnellata tra il prodotto grezzo europeo e quello asiatico. Fuori dall’Ue – ha raccontato – esistono realtà che per i laminati a freddo, prodotto di punta di Ast, utilizzano materiali da noi in uso circa dieci anni fa che nel frattempo sono stati banditi». Il grillino, a questo proposito ha detto: «Non rientra certo nel perimetro delle mie competenze ma seppure utopistico, come Europa dovremmo iniziare a pensare all’introduzione di misure sul dumping ambientale, sociale, dei diritti dei lavoratori. Ogni prodotto che entra cioè, dovrebbe rispettare elevati standard nel rispetto del più ampio diritto alla salute».

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