di Daniele Bovi
«La revisione straordinaria degli enti aventi sede in Umbria nella maggior parte dei casi si è risolta nel mantenimento delle partecipazioni senza interventi di razionalizzazione. Rare volte, tuttavia, la rinuncia alla razionalizzazione è stata adeguatamente motivata». È questo uno dei passaggi più interessanti della maxi relazione (quasi 370 pagine) in cui la Corte dei conti dell’Umbria passa al setaccio il mondo delle partecipate umbre. Dalla Regione alle aziende sanitarie e ospedaliere, dalle Province ai Comuni fino all’Arpa e alle Camere di commercio sono 105 gli enti che hanno consegnato, come imposto dal Testo unico che si occupa della materia, i piani di ricognizione straordinaria delle partecipate.
I numeri Un documento, quello prodotto dalla magistratura contabile, fatto anche per «orientare correttamente l’operato degli enti – osserva la Corte – in occasione delle prossime revisioni ordinarie delle partecipazioni societarie, e che racconta di un arcipelago vasto: in totale gli enti pubblici con sede in Umbria hanno partecipazioni dirette in 481 società e indirette in 182 per un totale, dunque, di 663; se però si considera che in tanti casi sono riconducibili a un’unica società, il totale delle partecipate è 90. Per 45 di queste, spiega la Corte, è stato deciso il mantenimento, mentre per 19 la dismissione, per 22 la liquidazione e, infine, per 4 la ristrutturazione. La magistratura contabile parla di «inadeguata conoscenza» e in alcuni casi di «scarsa attenzione prestata ai fenomeni gestionali delle partecipate», alla base «delle molteplici omissioni ed incongruenze riscontrate».
Linee di indirizzo Nonostante tutto però va considerato in modo positivo il fatto che questa revisione straordinaria ha almeno permesso di avere un quadro completo delle partecipate, rimediando così a un deficit informativo e permettendo di poter fare «le necessarie verifiche in ordine alla effettiva esistenza dei presupposti per il mantenimento delle partecipazioni, alla luce dei risultati conseguiti da ciascuna società e in relazione alle particolari caratteristiche della gestione». Tirando una riga la Corte offre agli oltre cento enti umbri coinvolti delle linee di indirizzo per mettere ordine: in primis, se le società sono ritenute indispensabili (e a maggior ragione se in perdita), va fatto un piano industriale valutando bene le conseguenze sul piano economico-finanziario, avendo come obiettivo se non un ritorno economico almeno uno in termini di sviluppo sul territorio. La Corte suggerisce anche piani precisi per il contenimento dei costi, una riflessione su quanto incidono quelli per il personale e, in caso di ricapitalizzazione, un’attenta valutazione dell’efficacia del programma di rilancio.
L’analisi dei costi In particolare a proposito dei costi la Corte spiega che il Testo unico non prevede solo soppressioni, accorpamenti o fusioni ma anche razionalizzazioni; un’esigenza, quella di analizzare e contenere i costi, che è stata «disattesa». «Le analisi – osserva ancora sul punto la Corte – devono occuparsi dei costi di produzione, senza prescindere da una comparazione con quelli standard»; e invece molti enti si sono limitati a comunicare quali sono gli obiettivi assegnati alle diverse partecipate, senza peraltro spiegare se sono stati raggiunti o meno. E dunque sebbene «l’analisi di congruità e inerenza dei costi di gestione sia il presupposto logico della decisione di mantenere la partecipazione», non sempre tutto ciò è stato fatto. Per molti casi poi non è stato provato l’interesse generale, necessario per evitare soppressione, mentre una bacchettata c’è anche per chi ha delle quote di minoranza: tutti gli approfondimenti vanno comunque fatti anche in questo caso, valutando se c’è la reale possibilità di incidere sulle scelte gestionali. Attenzione infine alle società in liquidazione: servono tempi stringenti per le procedure, così da evitare il perpetuarsi delle eventuali perdite.
Twitter @DanieleBovi