«Terni ha dato molto al Paese ed è stato motore di sviluppo industriale per l’Umbria. Il tema della crescita è un tema primario che deve tornare a passare per l’industria. Questo territorio è caratterizzato da una profonda cultura industriale che esprime talenti e capacità uniche in molteplici settori produttivi. L’industria è il vero motore della creazione di valore e della valorizzazione del capitale umano».  Così il numero uno di Confindustria Umbria Antonio Alunni all’iniziativa di Aspen Institute, realizzata a Palazzo Montani Leoni in collaborazione con la fondazione Carit. «Le aziende che Confindustria Umbria rappresenta, che costituiscono il 91% della manifattura regionale, in questi ultimi anni sono cresciute in dimensione, fatturato, investimenti, marginalità e soprattutto in occupazione. Sono particolarmente lieto di questo prestigioso appuntamento».

Aspen Italia Con l’appoggio della stessa Confindustria è in conrso a Terni la conferenza Aspen ‘La riqualificazione delle aree di crisi industriale complessa: una visione per il futuro. L’Umbria e il caso di Terni e Narni’. L’incontro si è aperto venerdì 10 maggio e si concluderà al termine della mattinata di sabato. Si tratta di un momento di confronto sul processo di riqualificazione e reindustrializzazione tale da attrarre investimenti, favorendo la conoscenza di Industria 4.0. Tra gli altri presenti Luigi Carlini, presidente della Fondazione Carit; Giulio Tremonti, presidente Aspen Institute Italia; Giovanni Brugnoli, vicepresidente per il Capitale Umano Confindustria Roma; Andrea Montanino, chief Economist Confindustria; John H. Clippinger, Research Scientist, MIT Media Lab, Boston; Martin Kenney, Distinguished Professor of Community and Regional Development, University of California; Tony Curzon-Price, Economic Advisor to the Secretary, Department for Business, Innovation and Skills (BIS), Londra; Francesco Profumo, Presidente, Compagnia di San Paolo; Marco Bentivogli, Segretario generale Fim Cisl; Fabio Paparelli, vicepresidente e assessore allo Sviluppo economico della Regione Umbria; Leonardo Latini, sindaco di Terni.

Remaking Umbria Fabio Pammolli, full professor of Economics and management al Politecnico di Milano (membro dell’investment committee European fund for strategic investments, european investment bank EIB) e Armando Rungi, assistant professor scuola imtalti studi Lucca hanno presentato uno studio sull’Umbria, colpita da due crisi gemelle, nel 2008 e nel 2011. «Il nostro studio – si legge – analizza cosa è successo a partire dal dato microeconomico, utilizzando i  dati di circa 62 mila imprese umbre nel periodo 2007 – 2017. Nonostante alcune eccellenze produttive, i benefici della rivoluzione digitale devono ancora arrivare. È normale infatti che all’inizio di una trasformazione tecnologica la maggior parte dei guadagni di produttività siano catturati da quelle imprese, spesso poche, che hanno una maggior capacità di assorbimento tecnologico. La capacità di recepire le nuove tecnologie, infatti, richiede forti investimenti in capitale umano e una solida base finanziaria. I nuovi impianti richiedono la dismissione di quelli obsoleti. In questo stadio, un folto gruppo di imprese piccole e meno efficienti continua ad operare come se le nuove tecnologie non fossero mai arrivate, per la semplice ragione che un upgrade non è alla loro portata. In questo contesto, le politiche industriali dovrebbero intervenire per far recuperare terreno e permettere alle imprese che più ne hanno bisogno di investire in capitale umano e sviluppo tecnologico, al fine di incrementare in senso lato la loro capacità di assorbimento tecnologico. Ciò è tanto più indispensabile nel caso di un territorio che aspira ad una ristrutturazione industriale, a partire da un percorso di specializzazione produttiva in settori più maturi, dove la minima scala efficiente di produzione è in media più alta che altrove».

Economia locale «In Umbria – si legge ancora – il manifatturiero in senso stretto rappresenta ad oggi solo circa il 17% del valore aggiunto totale. Ma ciò non deve ingannare l’osservatore che creda ancora alla dicotomia tra manifatturiero e servizi. Viviamo un’epoca in cui è in atto una ‘servitizzazione’ della produzione manifatturiera, perché il contributo dei servizi è fondamentale per incrementare la qualità del bene finale. Anche in Umbria, circa il 39% di valore aggiunto realizzato da una tipica impresa manifatturiera è in realtà dovuto al cruciale contributo dei servizi (marketing, consulenze, logistica, ricerca e sviluppo, engineering e design). In questo contesto, sarebbe più ragionevole considerare la competitività delle imprese che operano lungo tutta la filiera produttiva che porta alla consegna del prodotto finale al consumatore. A tal proposito, le imprese di Terni generano in media un minor valore delle imprese a Perugia, una volta che si tenga conto delle diverse specializzazioni settoriali. Più in generale, il valore aggiunto a Terni è minore lungo i segmenti di filiere che richiedono maggiore standardizzazione tecnologica, per esempio nelle fasi di assemblaggio e nella produzione di parti e componenti. Del resto, come abbiamo già detto, l’innovazione costa e richiede solide basi finanziarie. Per chi non ha le spalle solide grazie a robusti flussi di autofinanziamento, i vincoli di accesso al mercato del credito possono rappresentare un forte limite, tanto più forte dopo che le crisi finanziarie del 2008 e del 2011 hanno ridotto ulteriormente lo spazio di manovra del settore privato. Più che in altri contesti, quindi, l’Umbria e le sue imprese avrebbero bisogno di cosiddetto ‘capitale paziente’ che possa aiutare ad indirizzare risorse verso obiettivi di investimento profittevole a più lungo termine, inclusa la transizione tecnologica e più in genere la ricostruzione industriale».

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