Un dipendente di un'azienda umbra (foto ©Fabrizio Troccoli)

di Daniele Bovi

C’è un grande tema che tutti coloro che oggi guidano un’amministrazione pubblica, o che si candidano a farlo, dovrebbero affrontare per evitare di allargare ancora di più la forbice tra le aspettative del cittadino-elettore e le reali possibilità di politica e istituzioni: su processi molto complessi come quelli che regolano la creazione di ricchezza e di posti di lavoro, quanto può realmente incidere – in un contesto economico come quello attuale – chi si trova alla guida di un’amministrazione pubblica come quella della Regione? Davvero basta cambiare colore, in un senso o in un altro, per aprire le porte del Bengodi, far schizzare in alto il Pil nominale, reale e pro capite e creare migliaia di posti di lavoro? Cercare di capire cosa può realmente fare un’amministrazione come la Regione non significa dire che un presidente, o un assessore, vale l’altro (a quel punto basterebbe abolire le elezioni e nominare un buon amministratore di condominio), ma misurarsi con la realtà ed evitare di generare false aspettative.

Prodotto interno social Il battibecco social sul Pil umbro tra l’assessore del Comune di Perugia Michele Fioroni, il vicepresidente della Regione Fabio Paparelli e rispettivi supporter, diventa interessante se inquadrato in questa ottica. Per questo Umbria24 ha affrontato il tema con alcuni esperti come Bruno Bracalente, ex presidente della Regione, professore di Statistica e grande conoscitore dell’amministrazione e del sistema economico umbro, Luca Ferrucci, che insegna Economia e gestione delle imprese all’Università di Perugia e Sergio Sacchi, docente di Macroeconomia a Terni. «A domanda secca – dice l’ex presidente – rispondo in modo secco: la Regione può incidere poco in generale, perché già le politiche nazionali possono farlo relativamente in un mondo interconnesso; al limite possono aiutare se bene fatte. Essenzialmente l’Umbria dispone dei fondi dei programmi UE, che rappresentano l’unica leva di un qualche peso per muovere l’economia e per cercare di risolvere problemi strutturali».

Problemi strutturali Bracalente ne indica due in particolare: in primis la bassa produttività, «un dato di lunghissimo periodo, che arriva da molto lontano. Progressi parziali sono stati fatti nella manifattura. Se hanno inciso le politiche regionali? Sicuramente. I fondi UE rivolti a questo settore hanno inciso ma ha ancora di più l’ha fatto la capacità delle imprese di investire nella direzione giusta». Di più, per il Pil, conta il terziario che «probabilmente è cresciuto anche troppo come fattore di compensazione di un’industria poco estesa. Questo terziario – spiega Bracalente – ha problemi di efficienza e produttività molto rilevanti e i problemi ora sono in gran parte proprio qui, in un terziario cresciuto molto in termini quantitativi e poco in quelli qualitativi. Tornando alla domanda iniziale, le politiche hanno dei limiti ma è il momento di capire come orientare i fondi UE verso il terziario avanzato, verso i servizi per incrementare efficienza e produttività».

Investimenti pubblici Per Ferrucci «non c’è una risposta semplice e bisogna partire da alcuni elementi. Il primo: solo il 5,6% della spesa pubblica complessiva è in investimenti, il resto è spesa corrente. Dire che ci vogliono investimenti pubblici è un mantra, ma di fatto in Italia non si fanno; Keynes non è mai passato nel nostro paese». Il secondo elemento riguarda i vincoli di spesa che pongono «grandi difficoltà nel fare manovre espansive. L’Umbria – spiega – ha in fondi UE per fare alcune politiche ma è indubbiamente vero che è una regione piccola dove l’andamento economico negativo, nazionale e internazionale, si amplifica; l’Umbria è un amplificatore di effetti negativi: perché? se si volesse ragionare in modo serio e pacato sarebbe questa la domanda da porre ad amministratori e sistema imprenditoriale».

Tre storie Un tessuto economico che, nell’agone politico, viene quasi sempre tenuto fuori dalle polemiche, esente da qualsiasi tipo di responsabilità, vittima per definizione della politica che così diventa una specie di entità onnipotente, nel bene e nel male. «Se l’Italia va male e l’Umbria peggio – continua Ferrucci – possiamo raccontarci tre storie: che è tutta colpa del tessuto economico dove si investe poco in ricerca e sviluppo e dove c’è un basso tasso di internazionalizzazione; che è tutta colpa della politica che dà i soldi a Gepafin e Sviluppumbria, e quindi la butti in zizzania politica; poi che l’Umbria va peggio perché quando l’economia soffre si chiude il rubinetto del credito con ancora più forza. Serve coraggio nell’analizzare tutti e tre questi scenari e capire quanto pesano. La politica spesso usa la lente per ingrandire quello che le fa più comodo, ed è schiacciata su orizzonti brevi, mentre bisognerebbe guardare a orizzonti lunghi e usare il cannocchiale».

Siamo piccoli Neanche Sergio Sacchi vede arsenali di armi dentro Palazzo Donini: «Credo che la Regione – dice – non abbia molto fra le mani; non è un incentivo su un’area industriale o una tassa in più o in meno che fa la differenza. È roba di poco e impercettibile, e per di più siamo piccoli e quindi mobilitiamo poche masse economiche». Qualcosa però secondo il professore si può fare: «Ad esempio – sottolinea – credo che un’amministrazione di questi tempi possa battere molto su immagine e reputazione, sull’idea di una Regione che funziona e che si dà da fare, dove ci sono processi virtuosi che possono dare una mano allo sviluppo e alla crescita. Si può lavorare sul non convenzionale, ad esempio: quanto ci vuole per un certificato? Occorre una burocrazia rapida e che funzioni e interventi minuti su tanti altri fronti, come l’informatica: siamo allineati con le richieste di un mondo economico che vuole una Pubblica amministrazione informatizzata e veloce? nelle Asl c’è completa informatizzazione? E così via».

Twitter @DanieleBovi

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