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di M.R.

L’Accordi di programma è al palo, l’illustrazione del piano industriale resta quella della slide del primo aprile 2022 e ormai né le istituzioni, né l’azienda, sembrano voler fornire una spiegazione alla fase di stallo. Così, un po’ come il mercato dell’acciaio, attorno alle questioni Arvedi-Ast, sono soggetti a variazioni i tempi, i piani, i nomi, gli assetti societari, il management, l’organizzazione dei reparti e del lavoro, nonché gli umori. Ha voluto testarli la Fiom Cgil di Terni, per un confronto dentro il gruppo dirigente del sindacato, che nei giorni scorsi ha radunato gli iscritti anche delle ditte terze operanti all’interno dell’acciaieria. Umbria24 ha fatto il punto con il segretario Alessandro Rampiconi.

Qual è stata la reazione delle maestranze?

«Nel confronto coi lavoratori è emerso uno stato d’animo di preoccupazione e incertezza che risultano insopportabili. La punta dell’iceberg è rappresentata dai lavoratori del Tubificio che, alla luce dello scorporo subito, sentono di appartenere a un sito più debole. Ma di fatto la stessa sensazione la si vive nei reparti dell’area a caldo, a Pix2, 3, al Centro servizi Terni e via dicendo; perché alcune scelte aziendali, che sono anche industrialmente condivisibili, non sono integrate in un sistema complesso di fabbrica e quindi calate in una strategia più ampia, coerente con produzione e mercato. E in questa fase sono purtroppo crescenti gli infortuni, fenomeno che va attentamente monitorato».

Tutto dovuto all’assenza dell’Accordo di programma che ingessa la stesura definitiva del piano industriale e la sua attuazione…

«Assolutamente sì. I ritardi sono preoccupanti e mi assumo la responsabilità di insinuare che, se entro l’anno non c’è quell’intesa, i piani potrebbero cambiare; ovviamente a ribasso. Ci siamo lasciati lo scorso maggio al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, con la promessa di una deadline settembrina come traguardo proprio estremo, ma passata la prima metà del mese ancora nessun aggiornamento. In quella sede ci erano stato palesati due nodi da sciogliere: il costo dell’energia e le infrastrutture. Se, come è ipotizzabile, lìiter è incagliato ancora in queste due questioni, l’azienda ne è vittima; contestualmente però è un’Acciai speciali Terni carnefice dal momento in cuo non condivide fino in fondo le informazioni con lavoratori e sindacati».

In questo quadro, rispetto alle sorti di Ast, Confartigianato si è mossa con istituzioni locali e parlamentari umbri…

«Plauso all’operazione dell’associazione di categoria. Previo confronto con le altre organizzazioni sindacali, penso sia un’iniziativa che intraprenderemo anche noi. È opportuno stimolare il territorio alla discussione sul tema e proporre soluzioni. Preoccupa una politica che vediamo aggrovigliata su sé stessa e che non percepisce la gravità della situazione. Dove andiamo a finire se l’acciaieria non conosce lo sviluppo ipotizzato dal cavaliere? Io temo sia in discussione anche l’assetto di quella attuale. Il caso Sdf è un esempio lampante: ha occupati, capacità produttiva e mercato, ma paga l’assenza, da Terni a Civitavecchia di viadotti in grado di sopportare il peso dei grandi fucinati per il trasporto. Il fatto che il consiglio comunale di Terni, né su iniziativa di maggioranza, né di opposizione, senta l’esigenza di una seduta aperta su tutte le grandi questioni Ast è un segnale di superficialità».

Sullo stato dell’arte dell’Accordo di programma ormai da mesi nessuno riferisce più. In attesa di un eventuale confronto con istituzioni e politica, avete tentato di avere aggiornamenti dall’azienda?

«Sì, ma nessuno si sbottona. Non si dice ad esempio che il piano industriale non si può fare per certi limiti. Né presenta le strategie. Del resto abbiamo conosciuto in passato un’Ast tanto autonomo Essen di quanto. Discussione su quale tipo di industria avere. Fase di incertezza produttiva, di mercato, commerciale ricostruito, rete di clienti ed esigenze.. tempi normalità superati. Infortuni sempre più frequenti

Scorie, polveri, iter autorizzativi, qual è la situazione?

«Abbiamo preso atto dell’ok di Arpa marchio cee per il materiale, si sta procedendo per il sistema di abbattimento polveri e Tapojarvi è in grado di processare centinaia di migliaia di tonnellate di scorie, a patto che quelle trattate però abbiano mercato. La discarica Ast ha solo due anni di vita, quindi anche in questo senso è opportuno che la politica faccia la sua parte».

Tubificio definito ‘punta dell’iceberg’, quali sono le difficoltà?

«Dalla chiusura di Tct, dentro il percorso di internalizzazione del servizio di taglio ci sono lavoratori che si rirtrovano a svolgere mansioni diverse da quelle abituali, i costi sono lievitati perché ci si appoggia a centri di taglio esterni in attesa di un numero sufficiente di macchine dedicate».

A quel punto serviranno nuove assunzioni e i lavoratori Tct confidano nella ‘casa comune’…

«Intanto il prossimo 2 ottobre, a fronte dello stato di agitazione dichiarato, ci è stato concesso un incontro dall’azienda. Ma per quello che ne sappiamo, rispetto alle assunzioni dei dipendenti Tct, queste non avverranno prima che i rapporti con l’azienda di Timpani siano definitivamente cessati (quindi non prima di fine cassa integrazione)».

Per concludere, come sono evoluti i rapporti tra azienda e sindacati?

«Diciamo che a una certa effervescenza iniziale ai tempi dell’illustrazione della slide Arvedi, ha fatto seguoto una notevole fase di gelo, interrotta dal premio di risultato e seguita ora da alcune aperture che possiamo chiamare pillole di piano industriale che ci vengono fornite: aggiornamenti e spiegazioni che riusciamo a ottenere. Ma certo non è sufficiente. Spaeriamo che il grido di allarme arrivi dove serve».

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