Parabrezza dentro la Galleria Kennedy

di Danilo Nardoni

Una coreografia eterea e lieve, leggera e aerea, evanescente e impalpabile che si trasforma, su un tappeto di vetro laminato, facendo emergere l’incontrollabile boato sotterraneo e lo stridente crepitio dei vetri. Cristalli di parabrezza che non si frantumano in mille particelle ma che eroicamente resistono anche ai più terribili urti e alle più tremende collisioni. Resistono sfidando pressioni e attriti, contrapponendosi agli impatti e alle intemperie con il compito di rimanere un unico pezzo sempre, anche se il vetro si rompe e mostra lesioni o scheggiature. I boati, 77 anni dopo la costruzione della Galleria Kennedy di Perugia, sono tornati grazie al video della performance live “Un caso ancora aperto” di Alessio Biagiotti, registrato lo scorso dicembre proprio presso la Galleria, costruita durante la seconda guerra mondiale e ampiamente utilizzata dai perugini in occasione dei bombardamenti come rifugio antiaereo. La performance è stata presentata lo scorso mese di settembre, a Palazzo della Penna, realizzata con il sostegno e l’organizzazione del Comune di Perugia in collaborazione con Gesenu. A corollario della proiezione della performance, nelle sale Art Cafè di Palazzo della Penna, sono state esposte delle opere dell’artista frutto del suo ultimo anno di ricerca.

Un caso ancora aperto, performance all’interno della Galleria Kennedy

Cristalli come l’anima Questi vetri laminati, installati sul telaio delle auto mediante speciali guarnizioni, contribuiscono a dare rigidità al veicolo e il telaio contribuisce alla loro solidità. «Così come i cristalli anche l’anima umana non si frantuma ma resiste ai più terribili urti e alle più tremende collisioni» spiega Biagiotti: «Resiste sfidando pressioni ed attriti, contrapponendosi agli impatti e alle intemperie della vita con il compito di rimanere, anch’essa, unita e forte anche se il corpo si distrugge, si deforma mostrando tremende lesioni e inguaribili ferite». Non è mancato neppure un filo di commozione da parte dell’artista nel ricordare a chi è dedicato questo suo ultimo lavoro, a Massimo Rossi (suo professore all’accademia recentemente e prematuramente scomparso): «Dedico questo video a Massimo che mi ha insegnato a non prendermi troppo sul serio e a distingue seriamente la qualità delle cose e delle persone».

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La performance Davide Silvioli, curatore della presentazione a Palazzo Penna, afferma: «Nella sua organicità, il progetto trova nel Museo Civico di Palazzo della Penna il punto di arrivo spontaneo di un’operazione contrassegnata da un nesso significativo con la storia della città. Difatti, partendo dall’analisi del video ‘Un caso ancora aperto’, opera centrale che dà titolazione all’evento, si riconosce chiaramente la scenografia costituita dalla Galleria Kennedy. Questa struttura, fra il 1943 e il 1944, venne utilizzata, da parte della cittadinanza, come rifugio antiaereo, per ripararsi dai bombardamenti. Chiusa, nel video, in entrambi i sensi e, perciò, attraversata da un silenzio anomalo, la quiete enigmatica della galleria, di colpo, è interrotta dai rumori aspri e taglienti – simili a esplosioni – causati dalla danza morbida della performer, eseguita sopra la superficie di lastre di vetro laminato, frantumandole. Così, il riferimento a un aneddoto locale ma dalla dimensione tristemente collettiva è risolto dall’artista secondo accenti leggeri e incisivi insieme, dove inquietudine e poesia si intersecano fino a combaciare».

Esposizione Insieme al video della performance ‘Un caso ancora’ nelle sale di Palazzo della Penna sono state poi esposte opere di Alessio Biagiotti caratterizzate dalla sperimentazione del vetro laminato come medium espressivo e creativo. «La mostra, fra assemblaggi, installazioni e video – prosegue Silvioli – propone realizzazioni appartenenti all’ultimo anno di ricerca dell’artista, caratterizzata dalla sperimentazione del vetro laminato; materiale che, per la sua proprietà di assorbire urti, viene, più comunemente, usato per la produzione dei parabrezza delle autovetture. Qui, l’artista lo converte a strumento simbolico, ora corrispettivo di una percezione claustrofobica della società e ora di una sensibilità offesa. I due aspetti si sovrappongono nell’opera video, dove si arricchiscono di una qualità performativa e di un richiamo storico ulteriori; morbidi e aspri al contempo”.

Natura, artificio, società Ancora Silvioli: «Questa attitudine di Biagiotti a far convivere qualità opposte si riflette nell’oscillazione incessante – solo in apparenza contraddittoria – dall’angoscia allo spirito ludico, dalla riflessione critica e profonda alla pura provocazione, che si riverbera, assecondando formule diverse, per tutta la mostra. Pertanto, l’intera esposizione, pur nell’evidente eclettismo tecnico e nella sua dislocazione, fra sculture, assemblaggi, installazioni e video, è da leggersi come un unico intervento, dove tutto è parificato dall’impiego del vetro laminato. L’artista, enfatizzando tale peculiarità, lo converte a strumento simbolico e lo sperimenta nell’ambito della propria ricerca, tesa ad affrontare il trinomio composto da natura, artificio, società. Toccando problemi aperti del nostro tempo, quali il controllo, i bisogni indotti e la reificazione dell’individuo, il vetro, ridotto in frammenti, è corrispettivo di una soggettività offesa, quando strutturato similmente a gabbie architettoniche, è parafrasi di una percezione claustrofobica e unidimensionale della società. In questa duplicità, sembra che il primo aspetto emerga maggiormente nell’opera video, dove la narrazione vede la danzatrice muoversi nel vivo del conflitto fra silenzio e rumore, fra movimento e stasi, mentre il pubblico presente è invitato a un confronto fisico con l’installazione stessa. D’altra parte, il secondo aspetto appare più riconoscibile nelle sculture e negli assemblaggi, in cui miniature di umani e animali sono inserite all’interno di quinte di ferro e vetro fratturato. In tale produzione, per il ricorso al vetro, per l’agglomerazione di oggetti del quotidiano, le soluzioni pop e per la dissimulazione del reale, sono ravvisabili tangenze che, perlustrando il secondo Novecento, la avvicinano – mutatis mutandis – ad alcuni esiti di Niki de Saint Phalle dei primi anni Sessanta, all’estetica kitsch di Sylvie Fleury, ai Bersagli di Pino Modica, ai Fotoassemblaggi di Loris Cecchini, al senso del macabro e del perturbante di Jake & Dinos Chapman».

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