Terry Gilliam al PostModernissimo

di Danilo Nardoni e Angela Giorgi

L’ingresso al PostModernissimo di Perugia è proprio in pieno stile Monty Python, storico gruppo comico britannico di cui ha fatto parte. La verve è ancora quella. Nonostante la non più giovane età e con qualche acciacco in più, a Terry Gilliam non manca la voglia di scherzare con tutte le persone che incontra nel suo raggio d’azione. La sua mente visionaria è percepibile solo ad incrociare il suo sguardo magnetico. «Ci sono volute 18 pecore per fare questo» dice poi appena salito sul palco del cinema togliendosi e mostrando il suo cappotto alla platea. Tutto esaurito da giorni naturalmente per l’appuntamento con uno dei più amati registi del panorama contemporaneo. L’occasione, quella della presentazione in sala del suo ultimo film. Il regista statunitense (cittadino onorario di Montone dove è stato ospite qualche giorno prima di Perugia) ha parlato e incontrato il pubblico perugino prima della proiezione del suo ultimo lavoro ‘L’uomo che uccise Don Chisciotte’.

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Film della vita «Non vi addormentate e dopo oltre due ore di film ci sono anche 5 minuti finali con i titoli di coda. A quel punto potete anche andarvene». Scherza ancora Gilliam ma poi diventa anche serio quando parla del suo Don Chisciotte. La durate del film è niente in confronto al tempo (28 anni di peripezie) che ci è voluto per realizzarlo, per eseguire l’opera della vita. «Molti mi hanno paragonato a Don Chisciotte, ma io sono Sancho Panza, il film è Don Chisciotte» afferma Gilliam. «Abbiamo cercato di essere coerenti ma non pedanti rispetto al libro di Cervantes – prosegue – ed il film di oggi è diverso da come era stato concepito inizialmente con Johnny Depp». Secondo il regista il film ha iniziato a funzionare quando ha trovato «la giusta combinazione di attori». «Dopo 15 anni, Jonathan Pryce aveva la giusta età e il giusto peso. Adam Driver era così diverso da tutti gli attori con cui avevo avuto a che fare prima». Dopo anni in cui il regista non era mai riuscito ad arrivare in fondo al progetto, ora il film ha visto finalmente la luce con tutta la sua imprevedibilità e allucinazione, tra set incendiati, inseguimenti e malintesi, magnati spietati e donne ammalianti; un Don Chisciotte dove la realtà va progressivamente confondendosi con l’immaginazione.

Libro Gilliam, incalzato dagli intervistatori Simone Rossi del PostMod e Simone Emiliani di Sentieri Selvaggi, ha spiegato anche il suo approccio al film partendo dal libro. «Nel 1989, quando è nata l’idea di fare un film su Don Chisciotte, non avevo neanche letto il libro. Poi dopo averlo letto ho capito che era impossibile trasportarlo nello schermo. Dovevamo adattarlo all’età contemporanea: un uomo che vende sogni incontra un uomo che questi sogni li vive. Trasporre la storia reale attraverso una persona che vive lo stesso sogno. Ma alla fine queste sono solo parole, la cosa che conta è se il film piace o non piace. Il consiglio è dimenticare Cervantes e vedere il film come un bambino che approccia ad una nuova storia».

Fotografia e storia Sul tema fotografia Gilliam ha ricordato il lavoro con i suoi collaboratori: «Lavoro da tempo con direttori della fotografia ai quali chiedo di tradurre una particolare luce che troviamo in immagini e dipinti. In realtà il grande lavoro è quello fatto a monte. Poi sul set è solo sopravvivenza quotidiana». Anche i periodi storici sono messi dal regista sotto i riflettori: «Nel Medioevo si trovano personaggi che tutti noi possiamo riconoscere e con i quali possiamo giocare: il cavaliere, il contadino, la principessa, il re. La storia del film è tutta collocata nel XXI secolo e il passato è un passato generico».

Cinema e sogni «Non ho un approccio intellettuale, faccio solo quello che mi piace e che voglio raccontare. In questo caso ho raccontato la storia che interessava a me e lo scopo è di non annoiare il pubblico per due ore e dieci». Gilliam chiude così il suo incontro anche con un messaggio rivolto al pubblico: «Parlo del mondo di oggi attraverso uno sguardo particolare e provate anche voi a vederlo con questi occhi: il mondo non è come ve lo presentano ma molto più pazzo e interessante». Il cinema quindi, per Gilliam, «deve rappresentare la verità e la responsabilità del regista è quella di non tradire l’intelligenza del suo pubblico». «Comunque se non riusciamo in questo – ha concluso ancora a suo modo – le sale cinematografiche sono sempre un posto ottimo per addormentarsi».

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