di Ester Pascolini
«L’uomo con 9000 opinioni». Così si è presentato giovedì sera Michele Serra al pubblico del teatro Lyrick di Assisi. In scena il monologo L’amaca di domani, titolo chiaramente ispirato al corsivo che il giornalista scrive ogni giorno per il quotidiano la Repubblica. «Il corsivo – Serra lo precisa subito – è un articolo che presuppone un’opinione». E per dimostrare il peso del suo lavoro porta con sé un carrellino da trasporto, contenente più di 9000 pezzi, prodotti in circa 31 anni: «Proprio come una gallina ovaiola che ogni mattina deposita un’opinione come fosse un uovo». E, sottolinea: «Costa fatica avere un’opinione al giorno e tradurla in un corsivo, renderla pubblica, senza correre il rischio di ripetersi o di dire qualche sciocchezza».
Michele Serra «l’uomo con 9 mila opinioni» Al centro del monologo ci sono le parole. Quelle che plasmano le idee, che ci mettono nella condizione di evolvere, di raccontare, di esprimerci. La parola è ciò che ci distingue da tutte le altre specie viventi. Per questo porta in scena una mucca di plastica, a rappresentare il contraltare della parola: il silenzio. La mucca, infatti, come gli altri animali può godere del privilegio del silenzio, condizione a cui, secondo Serra, spesso si dovrebbe tendere. Arriva così un riferimento ai social, alle parole non soppesate, fuori luogo, che «in realtà – dice – svelano l’identità di chi parla, piuttosto che di quelli a cui sono rivolte».
La famiglia La parola e il silenzio offrono al giornalista l’occasione per parlare della sua vita privata, che ha attinto a due modelli. Il primo, quello del padre, uomo silenzioso e riflessivo, che gli appariva, in gioventù, come un mediocre «ma da ragazzi – conclude – non si capisce un cazzo». Il secondo, quello della madre e delle donne della sua famiglia, rumorose e loquaci, «a lei – dice – devo il dono della parola». E si lascia andare anche a un ricordo del nonno materno, docente di filologia romanza alla Columbia University: «Uno che insegnava roba grossa, insomma». Descrive poi la sua infanzia, in una casa piena di fogli, taccuini, penne, macchine da scrivere, quaderni e matite, segni di un destino, quello di Serra, apparentemente ineluttabile.
Gli inizi da dimafonista Ricorda gli inizi da dimafonista e la prova del fuoco rappresentata dall’esilarante storia della corsa di ciclismo Parigi-Roubaix. Coinvolge il pubblico nel racconto divertente della trascrizione, quasi impossibile, dei nomi pieni di x e y dei ciclisti stranieri: «Il giorno dopo, miracolosamente uscirono sul giornale scritti correttamente, malgrado non ci fosse Google per verificare». E ancora il suo lavoro, i successi, la fortuna e la fatica di aver dovuto scrivere per campare, «perché se non mi avessero pagato per esprimerle, non so mica se avrei avuto tutte queste opinioni». Dice di aver avuto mix di «culo e talento», che, a seconda dell’umore con cui si sveglia, pesano di più o di meno sulla bilancia. E con una simpatica battuta su Massimo Cacciari, svela uno dei rischi del mestiere di giornalista: l’autorevolezza che diventa spocchia.
Fortuna e talento Afferma di aver scritto di tutto: corsivi, satira politica, romanzi, poesie, persino tre libretti d’opera, perché «qualcuno lo deve pur fare», dice. Pesca nei ricordi di Cuore, giornale satirico dell’Unità, citando i suoi titoli più famosi, diventati ormai dei veri e propri cult. Affronta la questione della politica, della sinistra, del Pd, rappresentato ironicamente come un caso senza speranza. Ricorda romanticamente Gramsci, leggendo un brano del 1918 di disarmante attualità e cita Don Milani: «Un operaio conosce solo 100 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone». Ragionamento che lo collega al discorso sui rischi connessi all’«ignoranza identitaria», sfoggiata di questi tempi una medaglia al valore, mentre «chiedersi cosa si sa, mettere in discussione le proprie competenze, rappresenta già un atto culturale». Scrivere e leggere, afferma, comporta uno sforzo, un lavoro. Ed è tempo di rivendicarla questa fatica: «I libri letti sono come calli sulle mani».
Politica Serra ad Assisi descrive la rivoluzione tecnologica degli ultimi anni come qualcosa di travolgente e manifesta al pubblico il suo grande stupore per la velocità con cui sta avvenendo. Questo ha modificato profondamente anche il mestiere del giornalista. Si avvia alla conclusione parlando dell’esperimento di textmining svolto sui suoi corsivi. La ricerca delle parole ricorrenti nei suoi articoli non sorprende. La parola ‘politica’ è la prima classificata. Seguita da ‘sinistra’ e da un terzo posto quasi scontato: ‘Berlusconi’. Fa ridere il pubblico raccontando del risultato relativo a Rocco Buttiglione, citato per ben 39 volte, in maniera del tutto inaspettata e incomprensibile a lui stesso. Si congeda con un regalo al pubblico, “un’anteprima mondiale dell’Amaca di domani, scritta – dice – oggi ad Assisi”. Il risultato è quello che ci si aspetta: un’ironia sottile e intelligente avvolge le parole, quelle stesse parole che da oltre trent’anni mettono il pubblico nella condizione di decifrare la politica e il mondo.
Meglio se scrive Se proprio si volesse trovare un piccolo neo, l’impressione è che le parole ‘scritte’ assumano tratti più incisivi rispetto alle parole ‘raccontate’ dall’autore. Del resto è sempre rischioso osservare più da vicino i propri idoli e il Serra a teatro è un po’ sottotono rispetto al Serra della carta stampata. Ma certo non nasce come animale da palcoscenico, è piuttosto un intellettuale, un osservatore attento, uno dei pochi a possedere grande lucidità di analisi. Un artigiano della scrittura, uno che giorno dopo giorno compie lo sforzo di trovare le parole giuste, calibrandole con cura la voce dei pensieri. Un insegnamento non da poco in un tempo in cui, troppo spesso, se ne fa grande abuso.