Il pubblico del teatro Morlacchi (foto M.G. per Umbria24)

a cura di Angela Giorgi, Danilo Nardoni e Daniele Bovi

Prosegue, dopo la prima serie di interventi e quello dell’ex sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, il forum organizzato da Umbria24 sul futuro di Umbria Jazz, giunto nel 2017 all’edizione numero 43. no spazio aperto per discutere pubblicamente sul futuro del festival che rappresenta una delle pietre angolari della vita culturale della regione. Questo è uno dei ruoli che dovrebbe avere un giornale – cioè animare un dibattito pubblico – ed è quello che proveremo a fare da qui ai prossimi giorni.

Ferruccio Spinetti (contrabbassista degli Avion Travel e docente di Contrabbasso jazz al Conservatorio di Perugia) Sono contento soprattutto del rapporto tra il Conservatorio di musica ‘F. Morlacchi’ e un’istituzione come la fondazione Umbria jazz. Mi è sempre sembrato naturale che due realtà appartenenti alla stessa città arrivassero a una collaborazione. La cosa più bella è che i ragazzi hanno occasione di suonare all’interno del festival: l’aspetto della messa in pratica sul palco spesso manca nei corsi di jazz dei conservatori, ma grazie a questo ponte i giovani musicisti possono esordire su un palco così prestigioso. Lo scorso anno proprio una nostra cantante ha esordito sul palco di Umbria jazz – io ci ho messo vent’anni. Inoltre la fondazione Umbria jazz dà possibilità agli studenti di assistere gratuitamente a tutti i concerti. Mi auguro che la convenzione sia solo l’inizio di una lunga collaborazione da portare avanti negli anni. Idee per il futuro? A me piace l’apertura degli ultimi anni alla musica non “jazz”, penso ad esempio all’omaggio ai cantautori italiani con Gino Paoli e Curreri, che ho apprezzato anche per il mio passato con gli Avion Travel legato alla musica italiana. Tuttavia, darei spazio ancora maggiore ai nuovi talenti del jazz italiano: sono davvero tanti i musicisti di talento che ci invidiano in tutto il mondo.

Gianluca Liberali (Associazione umbra canzone e musica d’autore) In primis vorrei ringraziare Umbria jazz per la disponibilità dimostrata mettendo il palco dell’arena Santa Giuliana a disposizione del cartellone di Umbria eventi d’autore per il concerto di Mannarino del 21 luglio scorso. Poi vorrei sottolineare quattro punti:

1) L’edizione di quest’anno non è un banco di prova per dare giudizi di merito sul festival, quest’anno si dovevano fare i conti con diversi fattori: l’onda lunga dell’effetto comunicazione sul terremoto, l’imposizione di varchi e una condizione economica della popolazione regionale abbastanza critica, questo è quanto emerso dai recenti dati. Ha più senso fare un’analisi sul contesto che sul festival.

2) Personalmente l’unica cosa importante da fare per un ulteriore sviluppo del festival è mettere Uj al centro di un grande progetto europeo di Europa Creativa, o una delle call sulle reti o sulle piattaforme. Un progetto che grazie al peso storico del festival e al suo grande prestigio internazionale affermi Perugia e l’Umbria come luoghi principe di una rete europea del jazz.

3) Rispetto a quello che ormai molti attendono dal festival, ovvero nomi altisonanti del pop, il recente sostegno economico deliberato dal parlamento, se confermato, dovrebbe offrire un buon margine di manovra al festival per lavorare su qualche ospite.

4) Se Uj viene percepito come un festival che dura tutto l’anno può perdere le caratteristiche di evento e d’importanza. Quello che può fare, oltre agli appuntamenti classici e ormai storici dell’estate a Perugia e dell’inverno a Orvieto, è declinare eventualmente specifici progetti su diverse realtà senza mettere in campo il suo tradizionale marchio per non “stressare” il brand. Si potrebbe magari stare più attenti per gli eventi in Umbria, cosa che chiaramente cambia se la promozione di Uj deve andare oltre i confini regionali, in quanto manifestazione simbolo della regione.

Giovanni Dozzini (giornalista per Corriere dell’Umbria e Luoghi comuni, organizzatore del festival Encuentro) Umbria Jazz a me non sembra un malato grave. Ogni anno scorro il programma con curiosità e rispetto, perché si tratta di una manifestazione che nel corso della sua lunga storia ha dato a Perugia una dimensione impensabile per molte altre città con caratteristiche accostabili alle sue. E questa dimensione continua a dargliela. Stavolta qualcosa non ha funzionato, ma soprattutto per colpe non imputabili al festival. Il giro di vite sulla sicurezza dovuto alla circolare Gabrielli, nell’applicazione datale dalla Questura perugina, ha appesantito il clima senza peraltro, a mio avviso, garantire un’efficacia reale. Poi c’è stato il palpabile calo delle presenze, ma dal terremoto in poi l’intera regione, Perugia inclusa, paga un dazio sanguinoso in termini di turismo. Quanto al merito del cartellone, non mi pare che ci fossero molti margini di manovra. Io avrei evitato di coinvolgere una pop-star della caratura (bassa) di Giuliano Sangiorgi in un progetto più grande di lui come quello su Tenco, ma per il resto, anche sulla scelta di invitare un Brian Wilson ai limiti dell’impresentabilità, non ho molto da ridire: quello di Wilson è stato uno spettacolo scadente, ma l’evento in sé rimane, e pure a me in fondo piace l’idea di poter dire di averlo visto dal vivo, una volta, nonostante tutto. Forse, ecco, si dovrebbero ripensare gli spazi in generale, a partire dal main-stage. Forse il Santa Giuliana, per quello che si può permettere Umbria Jazz in questo momento, è troppo. Forse si potrebbero portare o riportare gli appuntamenti di punta in posti più piccoli – il Frontone, o ancor meglio San Francesco al Prato – e concedersi una super-produzione ogni tanto altrove, più lontano dal centro storico. Un centro storico pieno di luoghi all’aperto adatti alla musica dal vivo, dalle tante piazze e piazzette ai chiostri, passando per i sagrati delle chiese, i parchi, le biblioteche. Si potrebbe osare un po’, insomma, delocalizzando i concerti, anche a costo di dover impiegare ancor più risorse in allestimenti e servizi. D’altronde se le nuove misure sulla sicurezza rendono complicato immaginare un Corso Vannucci straripante come accadeva fino all’altro ieri perché non virare su un modello polimorfo, col coinvolgimento di molti spazi di dimensioni più contenute?

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