di Enzo Beretta
Condanne da quattro anni e 8 mesi a 10 anni di reclusione per i sette imputati albanesi processati con rito abbreviato a Perugia con l’accusa di aver trafficato cocaina. Altri otto hanno scelto il rito ordinario e per loro si apriranno le porte del processo. Tra le persone destinatarie di provvedimenti restrittivi nel dicembre 2022 si potevano leggere anche i nomi di alcuni albanesi coinvolti nella rissa avvenuta nei mesi precedenti all’aeroporto di Perugia.
FOTOGALLERY: ARMI E COCAINA SEQUESTRATA
La droga dall’estero La sentenza di condanna è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari di Perugia su richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Petrazzini. Dalle indagini era emerso che la presunta associazione criminale sarebbe riuscita a immettere sul mercato qualcosa come 20 chili di cocaina al mese, sostanza stupefacente proveniente anche dall’estero: i proventi illeciti sono stati stimati in «diversi milioni di euro». Una volta arrivata in Italia la droga veniva confezionata in singole dosi – hanno ricostruito gli inquirenti – e spacciata da ‘cellule’ che si muovevano tra il capoluogo umbro, Foligno, Terni, Macerata, Rieti e Cattolica.
L’ordinanza «Dalla complessa indagine è emersa la rete dei contatti fra gli indagati, costituiti in associazione, finalizzata all’acquisto di sostanze stupefacenti da destinare allo spaccio nella città umbre e dintorni – conclude il gip -. Le intercettazioni hanno permesso di acclarare come gli indagati si approvvigionassero dello stupefacente, principalmente cocaina, in ingenti quantità, come dimostrano i sequestri compiuti durante le indagini; il ricavato della vendita poi, oltre a pagare i singoli fornitori, viene principalmente investito nell’acquisto di altro stupefacente o impiegato in investimenti immobiliari». Durante le perquisizioni avvenute nel corso dell’intera indagine sono stati sequestrati una ventina di cellulari tra cui due criptati, due pistole, 139 proiettili, quattro auto e circa 150 mila euro in contanti.
Investimenti Parte dei soldi guadagnati illecitamente – era stato ricostruito nel corso dell’inchiesta – sono stati reinvestiti in attività commerciali in Umbria e in attività ricettive nelle località balneari dell’Albania. La presunta organizzazioni disponeva inoltre di «alloggi e basi operative» tra Misano Adriatico, Milano e Foligno. «Notevole – scriveva il giudice nell’ordinanza cautelare – è la disponibilità di autovetture, acquisite mediante l’intestazione a terzi, al fine di impiegarle per il trasporto dello stupefacente o l’attività degli spacciatori. Le indagini hanno permesso di verificare nella disponibilità del gruppo circa 70 mezzi tra macchine e motoveicoli, quasi tutti intestati a prestanomi o a pusher».