Alma Ayan era il nome di copertura della Shalabayeva per ragioni di sicurezza personale

di Enzo Beretta 

«Questo processo non si sarebbe mai dovuto celebrare». Il professor Franco Coppi, impegnato a difendere il superpoliziotto Renato Cortese condannato in primo grado a cinque anni per il sequestro di persona di Alma Shalabayeva, punta dritto al cuore della vicenda: «L’espulsione era legittima, non c’è stata nessuna violazione della libertà personale di Alma che è stata espulsa quando poteva e doveva essere espulsa. Cortese complice e braccio armato del Kazakhstan? È incredibile solo pensare a un suo asservimento. Lui non ha mai rinnegato i suoi valori di uomo dello Stato. Non ci dimentichiamo che quando Alma Shalabayeva è stata fermata continuava ostinatamente a ripetere un nome falso, diceva di chiamarsi Alma Ayan, il passaporto che portava con sé era visibilmente contraffatto e non ha neppure mostrato il visto diplomatico. Come faceva a rimanere nel nostro Paese? Quello che è emerso dopo (Alma è la moglie del dissidente Mukhtar Ablyazov, ndr) in questo processo non conta». Prosegue Coppi: «Perfino la sentenza di primo grado, che fa acqua da tutte le parti, ammette che non ci sono prove di una regia superiore dell’ex capo della squadra mobile romana in questa operazione. Le congetture non possono trovare posto nel processo penale, le affermazioni non riscontrate da prove sono appunto congetture e in questo caso non c’è nessuna prova di accordi tra lui e il governo. Cortese va assolto, la sua innocenza mi sembra chiara».

LA VOCE DI RENATO CORTESE IN AULA

Cortese rompe il silenzio Davanti al collegio presieduto da Paolo Micheli, prima che prendesse la parola l’avvocato Coppi, ha reso dichiarazioni spontanee proprio l’imputato principale. Finora non aveva mai parlato. Pochi secondi per dire: «L’unico stato d’animo che intendo portare all’attenzione della Corte è quello suscitato in me dall’affermazione della sentenza secondo la quale avrei tradito il giuramento di fedeltà alla Costituzione italiana. Tutte le sentenze meritano rispetto e io rispetto anche questa che, seppur ingiustamente, mi ha condannato. Però credo che tutta la mia vita e la mia carriera, forse, avrebbero meritato a loro volta un minimo di rispetto».

«Una profonda ingiustizia» Cortese, uno dei poliziotti migliori che vanta il nostro Paese, l’investigatore che ha portato in carcere, tra gli altri, i boss di Cosa nostra Giovanni Brusca e Bernardo Provenzano, il 23 maggio non sarà a Palermo in occasione del trentesimo anniversario della strage di Capaci. «Eppure dietro uomini come Falcone – ha spiegato l’altro legale, Ester Molinaro – ce ne sono altri come Renato Cortese, che quando ha lasciato la questura di Palermo è stato salutato dai suoi agenti con un lungo applauso per il lavoro svolto. E lascia perplessi che la Procura generale, per uno come lui, non abbia chiesto nemmeno la concessione delle attenuanti generiche». Tornando al processo la Molinaro ha aggiunto: «Tutta la vicenda che lo riguarda è una pagina di profonda ingiustizia. Alma Shalabayeva non aveva nessuno status di rifugiata, l’elemento che ha creato confusione è stato che quello del marito non era noto a nessuno e lei non aveva mai chiesto asilo politico».

PIGNATONE: NESSUNO MI PARLÒ DI ASILO POLITICO

Improta va al contrattacco Andava espulsa, secondo la polizia, ma anche secondo l’ex procuratore romano Giuseppe Pignatone sentito nelle precedenti udienze. E su quella telefonata «non particolarmente urbana e inopportuna» intercorsa tra l’allora dirigente dell’ufficio immigrazione Maurizio Improta e il pm di turno Eugenio Albamonte è voluto tornare il primo: «Prima Alma Ayan doveva essere espulsa, poi non più, in un caso o nell’altro la Procura doveva mettermelo per iscritto. Riportare la donna a Ponte Galeria? Mica è un hotel, senza il nulla osta mi serviva il diniego del pm per un nuovo trattenimento. Io inopportuno e inappropriato? Macché, sono stato preciso, forse insistente, questo sì, ma era necessario perché se Alma fosse partita con un nulla osta orale sarei stato forse internato in un ospedale psichiatrico».

LE DICHIARAZIONI SPONTANEE DI MAURIZIO IMPROTA

«Nessun complotto di Stato» Il legale di Improta, l’avvocato Bruno Andò, ha provato a smontare l’ipotesi del complotto: «Se ci trovassimo di fronte a un complotto di Stato a quest’ora sarebbero imputati anche i vertici del governo italiano, che invece non ci sono. Alma è stata rimpatriata attraverso un volo privato. Che fretta avrebbe dovuto avere Improta di farla salire sull’aereo? Il mio cliente sapeva che c’era un volo disponibile per Astana, di certo non sapeva si trattasse di un volo esclusivo. Insomma, in questa storia non si rintraccia nulla che costituisca una devianza rispetto a una ortodossa applicazione della legge. Il fatto non sussiste».

«Pm di Roma non indotti in errore dalla Polizia» «E’ stata Alma Shalabayeva che ha depistato la polizia giudiziaria, la squadra mobile, la Digos, l’ufficio immigrazione – ha spiegato l’avvocato Stefano Tentori Montalto, difensore del poliziotto Luca Armeni, nel corso della sua arringa -. È lei l’unica responsabile della propria sciagura e di quella della figlia. Ha avuto più occasioni per poter svelare la sua identità e non lo ha fatto. Cosa avrebbe dovuto fare di diverso la squadra mobile? Per fortuna esiste il giusto processo che ci ha permesso di poter sentire qui in aula l’allora procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm che si occupò del caso Eugenio Albamonte che hanno spiegato di non essere stati indotti in errore dalla Polizia».

Il calendario Si torna in aula mercoledì 25 maggio: per quel giorno sono previste le repliche della Procura generale con il pg Sergio Sottani e il sostituto Claudio Cicchella, quindi la parola ai legali, camera di consiglio e sentenza.