di Enzo Beretta
Da parte di Innocent Oseghale c’è stata una «iniziale violenza di tipo costrittivo» nei confronti della 18enne Pamela Mastropietro «divenuta ‘necessaria’ nel palesato dissenso di lei una volta resasi conto delle reali intenzioni del suo partner» che ha voluto un rapporto non protetto. È quanto scrive la Corte di assise di appello di Perugia nelle motivazioni della sentenza di appello bis, relativa alla sola aggravante di violenza sessuale, che ha confermato la condanna all’ergastolo per il nigeriano accusato di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi nel novembre 2018 la giovane romana. In seguito c’è stato un «approfittamento, senza soluzione di continuità alcuna, dello stato soporoso ormai completamente manifestatosi nella vittima» sotto l’effetto dello stupefacente appena assunto.
La sentenza Dopo aver subìto la violenza, un rapporto sessuale non protetto, e con il «progressivo scemare» degli effetti della droga – viene sempre ricostruito nella sentenza – Pamela ha ripreso coscienza e non ha «esitato a ribadire il proprio aperto dissenso a siffatte modalità dell’atto sessuale», avvenuto come detto senza l’uso di protezione, «incorrendo però nell’abnorme reazione di Oseghale» che non ha «esitato ad ucciderla». La Corte ritiene che la vittima «non avrebbe mai potuto acconsentire – né aveva acconsentito – ad un rapporto sessuale non protetto con l’imputato». Accettando l’invito a casa di Oseghale, secondo quanto riportano le motivazioni, Pamela «seppur ben consapevole della prospettiva – ragionevolmente prevedibile e concretamente ineludibile, date le circostanze, anche ove fosse mancato un esplicito accordo in tal senso – di doversi sessualmente intrattenere con lui in cambio della procurata disponibilità dello stupefacente», era «tranquilla perché aveva ancora con sé i due profilattici» che dunque «le assicuravano la ‘tranquilla’ prospettiva di consumare un rapporto sessuale con quell’uomo senza rinunciare alla necessaria protezione».