di Enzo Beretta 

La sala congressi del Capitini è essenziale. Luci al neon bianche e fioche, soffitti neanche troppo alti, le poltroncine di velluto celesti. Catiuscia Marini e Gianpiero Bocci, lo stato maggiore del Partito democratico caduto sotto i colpi dell’inchiesta Sanitopoli, siedono laggiù, al tavolo degli imputati.

I due verbali Ore 12.10, è il momento di Valentino Valentini, di anni cinquanta, nato a Schaffausen, un borgo della Svizzera, e cresciuto sulle dolci colline di Montefalco dove ha fatto il sindaco per dieci anni riprendendo in mano l’azienda agricola del nonno. Praticamente fuori dalla politica l’imprenditore del vino alza il tono della voce e inizia in questo modo la sua testimonianza: «Oggi non sarei dovuto essere qui perché ieri sera avevo un volo per Londra che è stato cancellato, il mio dovere civico però prevale». Si levano i primi sguardi verso l’alto. Il 12 aprile 2019, giorno degli arresti, fu un pomeriggio particolarmente complicato per Valentini, già consigliere politico della governatrice Marini. Nel giro di 226 minuti firma due verbali: il primo, delle 15.39, nel corso di sommarie informazioni rese negli uffici della guardia di finanza, il secondo alle 18.25 dopo aver risposto alle domande dei pubblici ministeri. Parole che hanno sicuramente pesato nella scelta drammatica della presidente dimissionaria.

I VERBALI DI VALENTINO VALENTINI

Il passaggio fatale Il pm Mario Formisano gli chiede conto della sua «parte operativa in alcuni episodi» che avrebbero portato ai concorsi truccati dell’ospedale. La voce di Valentini al microfono è metallica, distante. Prende fiato: «Da ottobre 2016, quando l’Umbria è stata colpita dal terremoto, ero stato incaricato di tenere i rapporti tra la Giunta, la Protezione civile e il Comune di Norcia. Avevo un ufficio a Palazzo Donini ma venivo a Perugia pochissime volte perché, nei fatti, il mio luogo di lavoro era un container». La Procura insiste sugli episodi, lui riprende il filo: «Parliamo essenzialmente di un episodio. Durante la primavera 2018 ricevetti una telefonata dalla Marini che mi diceva di far recapitare un documento a una certa Marisa, documento di cui io non ero a conoscenza». Il magistrato si avvia a fare la prima contestazione quando scatta sulla sedia l’avvocato Nicola Pepe: «Mi oppongo perché le sommarie informazioni sono autoindizianti e perciò inutilizzabili. Il testimone doveva essere sentito da indagato perché erano emersi indizi di colpevolezza a suo carico». Tecnicamente è la questione delle questioni: Valentini indagato sarebbe un vantaggio per la difesa Marini in quanto perderebbe lo status di testimone e non avrebbe l’obbligo di rispondere alle domande. È un passaggio che rischia di essere fatale.

Pm: «Ecco perché non lo abbiamo indagato» Formisano spiega ai giudici: «Abbiamo deciso di non indagare Valentini e tutti i beneficiari. Essere beneficiari di un’attività di alterazione illecita non determina automaticamente l’assunzione della veste di indagato. Abbiamo fatto questa scelta per ridurre il numero degli indagati, non per avvantaggiarci nel processo – brusio in aula di sottofondo – anche perché tutto emerge dalle intercettazioni. Dalle chat, dai tabulati e dalle conversazioni non abbiamo mai avuto consapevolezza che Valentini interferisse sui concorsi». Il presidente Marco Verola detta alla cancelliera una sintesi della tesi del pm («sicuramente sotto il profilo del dolo le indagini non consentivano di individuare indizi di reato a suo carico») e stoppa il difensore della Marini quando la prende un po’ larga su una «teoria tedeschizzante del dolo» per ritirarsi in camera di consiglio.

Il provvedimento del tribunale La Corte esce 17 minuti dopo con un provvedimento che sulle prime neppure le difese comprendono fino in fondo, e che, se lo comprendono, comunque non lo condividono. Testuale: «Ritenuto che dal contenuto del verbale sit del 12 aprile 2019 e da quello delle intercettazioni ambientali prima delle 18.25 del 12 aprile 2019 (ora in cui è stato redatto un secondo verbale di sit) non emergessero indizi di reità nei confronti di Valentini Valentino e che detti indizi sono invece emersi soltanto nel corso della redazione del secondo verbale (quello del 12 aprile 2019 delle 18.25); ritenuto dunque che nel caso di specie trovi applicazione il comma 1 dell’art. 63 cpp, ciò comporta che le dichiarazioni rese nel corso dell’indagine dal predetto possono essere utilizzate contra alios ma non contra se. Per questi motivi dispone che il pubblico ministero possa procedere alle contestazioni che stava effettuando nei limiti sopra indicati».

La testimonianza La deposizione di Valentini riprende tra qualche mugugno: «Il 10 maggio 2018 ricordo di essere stato chiamato e poi di aver ricevuto un plico chiuso da parte dell’ex dg dell’ospedale, Emilio Duca. Mi adoperai per far sì che venisse recapitato alla signora Marisa, di cui non ho i recapiti telefonici perciò li chiesi alla mia collega di segreteria Sonia Monaldi, di poterla chiamare e di farla venire in presidenza alla Regione. Fu Catiuscia Marini a dirmi ‘consegna questo plico chiuso alla signora Marisa’. Monaldi chiamò Marisa e le fu consegnata questa busta chiusa». E prosegue: «C’è stato un secondo caso ma non sono stato protagonista io, non potevo perché non ero in sede e mi trovavo in Valnerina. Credo sia stata quella volta che andai in Azienda ospedaliera e incontrai Duca che mi diede documenti analoghi a quelli precedenti ma, come detto, non ero in grado di adempiere perché l’indomani non ero a Perugia. Ho scoperto il contenuto della documentazione solo in Procura quando, ad aprile 2019, mi sono state sottoposte alcune intercettazioni ambientali, lì mi resi conto di cosa c’era lì dentro».

Renzi, Zingaretti e Leonelli La testimonianza di Valentino Valentini termina con le domande dell’avvocato Pepe, in piedi a fianco dell’ex governatrice: «Con Catiuscia Marini c’erano buoni rapporti, il mio era un incarico fiduciario». A quel punto il legale tira fuori una lettera di dimissioni presentata dal consigliere politico alla presidente, datata febbraio 2019, dunque un paio di mesi prima dello scandalo, «a seguito di contrasti»: «Viviamo in un partito abbastanza composito – dice Valentini – io e lei non abbiamo mai votato lo stesso candidato alla segreteria provinciale, regionale e nazionale. Io non ho mai votato Matteo Renzi né Giacomo Leonelli. Ero abbastanza libero da poter assumere, fuori da quell’ufficio, la mia libera attività politica perché io non sono un dipendente della Regione, ero un dirigente politico del partito». La difesa preme sui «contrasti» e sui «rapporti non proprio idilliaci con la presidente», il teste replica: I rapporti erano ottimi, le mie dimissioni erano legate al fatto di far sentire libera la presidente che nel ruolo di dirigente del Pd in quella fase sosteneva il segretario nazionale Renzi, mentre io ero molto vicino a Zingaretti. Io responsabile nazionale della campagna di comunicazione di Zingaretti? Non lo sono mai stato». Secondo Pepe «la presidente non tollerava che la carica istituzionale venisse legata a questioni di carattere politico», il testimone però nega: «Volevo che la Marini avesse persone vicino che concordassero oltre che il lavoro della segreteria di gabinetto anche la linea politica, quindi ho messo a sua disposizione la possibilità di scegliere se potevo proseguire. La mia priorità era essere libero dal punto di vista politico. Tra l’altro quando Zingaretti è stato eletto segretario nazionale mi trovavo negli Stati Uniti, quindi, come dire, ero abbastanza libero nei suoi confronti. Qui – sbotta Valentini – stiamo facendo un processo alle mie posizioni politiche nel Pd, e francamente…». «In questo processo si parla di tutt’altro» lo interrompe bruscamente il presidente. L’udienza finisce, Valentini esce dall’auditorium del Capitini e cammina a passo svelto con piglio pensoso.

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