di Francesca Marruco
«Mi avevano lasciato a controllare se arrivava qualcuno, quando ho sentito litigare e degli spari. Sono corso subito in corridoio e ho visto Aurel e Iulian che spingevano una porta chiusa. Non ho aiutato loro a sfondarla. Ma una volta dentro ho legato di nuovo i polsi a Luca Rosi che, già ferito da più colpi di pistola, me li ha allungati da solo. Ho partecipato alla rapina solo perché Simionescu non c’era».
Interrogato in carcere E’ questa la ricostruzione che Dorel Gheorghita si è finalmente convinto a dare ai pubblici ministeri dopo che entrambi i suoi complici avevano già confessato il terribile omicidio del bancario 38enne di Ramazzano Luca Rosi. Lo ha fatto venerdì mattina nel carcere di Capanne, assistito dal suo avvocato Michele Maria Amici, davanti ai pubblici ministeri Giuseppe Petrazzini e Mario Formisano.
La nuova versione Ai magistrati il giovane rumeno ha confessato tutto. O quasi. Deve aver valutato che continuare con la versione che lo vedeva addormentato sul divano della fidanzata di Iulian Ghiorghita mentre gli altri uccidevano Luca non poteva portarlo lontano. Allora ha corretto il tiro. Ora ammette si di aver partecipato alla rapina culminata con l’omicidio del bancario, ma dice di non aver avuto «un ruolo attivo». Lui era in un’altra stanza a controllare che non arrivasse nessuno. Lui non ha sparato. Rinnega di essersi vantato di aver picchiato Luca morente. Lui lo ha «solo» legato quando sanguinava agonizzante.
La richiesta di scarcerazione E adesso, o a breve, in virtù di questa sua partecipazione «involontaria e non attiva», il suo legale ha anche intenzione di presentare istanza di scarcerazione. L’avvocato di Dorel tira in ballo l’articolo 116 del codice penale, quello secondo cui nel concorso di più persone ad uno stesso reato, «se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave». Lo stesso articolo però dice anche che «Qualora il reato commesso sia diverso da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione». E di certo Dorel non si è messo tra Iulian e Luca per salvarlo. Di certo non si è rifiutato di legarlo di nuovo quando era morente. Di certo non ha cercato aiuto per strapparlo alla morte.
Non sapeva delle pistole Ai magistrati Dorel, sposato e diventato padre da poco, ha detto di aver partecipato alla rapina perché « Catalin Simionescu, che aveva detto a Iulian e Aurel della presenza di 450 mila euro in contanti in casa Rosi, non c’era». Gli altri gli avrebbero proposto di andare e lui avrebbe accettato. «Ma non sapevo delle pistole, le ho viste solo poco prima di arrivare a casa di Rosi e mi sono impaurito». E sempre per paura avrebbe raccontato un sacco di balle ai magistrati. «Paura della reazione di Rosu e Ghiorghita e dello Stato Italiano» ha detto ancora.
Incidente probatorio Nessuna paura invece quando secondo il racconto di Bianca Bengescu, si sarebbe vantato con i suoi complici di essere riuscito a sfondare la porta della camera in cui si era nascosto Luca Rosi e di averlo preso a calci quando era già agonizzante. Adesso lo rinnega. Per ritagliarsi un ruolo minore. Diverso da quello che è emerso dalle meticolose indagini del reparto operativo- nucleo investigativo e del ros di Perugia. Lunedì le due donne che hanno inchiodato i loro uomini e connazionali alle loro responsabilità verranno sentite in incidente probatorio. Tutto quello che diranno cioè diventerà prova nel futuro processo ai tre uomini che convinti di trovare un tesoro da 450mila euro in contanti hanno ucciso un giovane uomo per 60 euro.
Questa gente deve solo marcire in carcere perché una volta fuori ricominceranno a rubare, violentare e uccidere. Anzi, sarebbero da spedire in qualche carcere rumeno, altro che albergo a Capanne!