di Daniele Bovi

L’intera giunta regionale, l’ex direttore dell’Usl Umbria 1, dirigenti e non solo. Sono in tutto 14 le persone alle quali la Procura regionale della Corte dei conti chiede 3.797.058 euro e 70 centesimi per il caso del lascito Mariani, quello dei soldi – mai utilizzati – destinati all’ex ospedale di Città di Castello con un testamento nel 1984. Soldi che dovrebbero essere restituiti al Comune tifernate e alla Regione.

La citazione Stando alle quasi 60 pagine dell’atto di citazione firmato a fine gennaio, all’udienza in programma il prossimo 20 settembre dovranno comparire non solo la presidente Donatella Tesei, l’assessore Luca Coletto e l’ex sindaco di Città di Castello Luciano Bacchetta (i «domini» della vicenda secondo la Procura), ma anche tutti gli altri membri della giunta regionale, l’ex direttore dell’Usl Umbria 1 Gilberto Gentili, l’ex direttore della sanità regionale Claudio Dario e una serie di dirigenti o ex dirigenti di Palazzo Donini (Mauro Pianesi, Angelo Cerquiglini, Graziano Antonielli, Evelina Autiello e Maria Balsamo). La Procura in particolare chiede la condanna al risarcimento a titolo doloso per Tesei, Coletto, Bacchetta ed Evelina, e a titolo gravemente colposo per tutti gli altri; in subordine si chiede la condanna a titolo gravemente colposo per tutti.

Le cifre e la storia In particolare 3,721 milioni andrebbero restituiti al Comune e altri 75.600 euro alla Regione per l’omessa manutenzione e riqualificazione dell’ex ospedale, in stato di totale abbandono dal 2000 (e quindi svalutato). La storia come accennato inizia nella metà degli anni ’80 quando Clara Mariani lascia «all’ospedale civile di Città di Castello» gli oltre 3,7 milioni al centro della vicenda; gli eredi però si oppongono e ne nasce un contenzioso civile che arriva, tre decenni dopo, fino alla Cassazione. In tutti i gradi di giudizio viene stabilito che il lascito deve essere devoluto al Comune perché venga destinato all’ospedale, poi soppresso.

Il parere Nel 2020 però sulla base del parere di un avvocato (lo stesso che ha assistito in sede civile la Usl, motivo che fa parlare la corte di «incompatibilità»), viene sottoscritto un protocollo tra Regione, Comune e Usl per trasferire la somma a quest’ultima. Per la Procura però questo parere, che le amministrazioni avrebbero recepito in modo «supino e pedissequo», è «artato» e si baserebbe su un’interpretazione ormai superata del decreto legislativo 502 in materia di sanità: con l’aggiornamento risalente al 1999, infatti, il trasferimento dei beni alla Usl non è più un atto dovuto, come sostengono in diversi. Un parere che per la Corte «comprova l’intenzionalità e la volontarietà – scrive la Procura – della condotta illecita dei convenuti, in totale spregio del vincolo di destinazione in favore del nosocomio».

Il trasferimento e il danno Un anno dopo, nel 2021, con una delibera della giunta regionale viene dato l’ok al trasferimento della somma alla Usl, che la dovrà utilizzare «per l’organizzazione e l’erogazione dei servizi sanitari resi sul territorio del comune». Un passaggio chiave perché è qui che per la Procura si configura il presunto danno erariale: con il trasferimento, in sintesi, il Comune sarebbe stato privato di un importante patrimonio. Nello stesso anno l’Usl con un paio di delibere attinge a quei fondi destinando 200 mila euro alla Muzi Betti e un milione all’acquisto di una nuova risonanza magnetica per l’ospedale di Castello.

Casa della salute Martedì in una nota la Regione specifica che quei soldi non sono stati spesi (le delibere Usl sono state “congelate”) ma per la magistratura contabile ciò non ha alcun rilievo dato che il danno, come detto, si configurerebbe col passaggio dei soldi dal Comune alla Usl. Per la Procura si tratta di un passaggio immotivato e «in palese violazione del vincolo di destinazione». Nel corso degli anni si è anche ipotizzato di utilizzare queste risorse (insieme ad altre) per realizzare una Casa della salute: progetto per la Regione infattibile dato che non si potrebbe utilizzare un solo piano della struttura e che complessivamente, servirebbero 32 milioni per una completa ristrutturazione. In una prima fase sul piatto c’erano anche tre milioni derivanti dai fondi per la ricostruzione, in un primo momento persi dato che non era stata inviata tutta la documentazione richiesta dal commissario per la ricostruzione. I tre milioni, come spiegato martedì in aula da Agabiti rispondendo a un’interrogazione di Bettarelli, sono stati però riassegnati ed entro fine marzo sarà affidata la progettazione dell’intervento.

Mala gestio Nel complesso per la Procura contabile si tratta di risorse «immotivatamente disperse», di interventi sulla struttura necessari ma «pervicacemente disattesi»; il tutto nel quadro di «un eclatante caso di mala gestio di beni pubblici». In molti tramite i loro legali parlano di scelte discrezionali che dovrebbero essere sostanzialmente sottratte al giudizio della magistratura contabile, di un lascito comunque integro e di ruoli in certi casi minori (tutti gli altri assessori sottolineano ad esempio di aver semplicemente partecipato alla riunione di giunta, ma di non essere i proponenti della delibera). Quanto a Coletto e un altro dirigente, la Procura sottolinea al termine dello spazio riservato alle difese che i due «sono rimasti completamente inerti, con un significativo comportamento che si sottopone all’attenzione del collegio».

A settembre in aula Nel complesso però è l’intero impianto difensivo a non convincere la Procura, secondo la quale l’insindacabilità non vale quando si parla di atti contrari alla legge o comunque viziati. Per la magistratura contabile c’è una «condotta antigiuridica per reiterato comportamento gravemente omissivo della Regione», nonché una «macroscopica inerzia di enti e uffici preposti». Nel complesso una «condotta alquanto censaburabile e contraria a principi di sana e corretta gestione». Tesi che sarà al centro dell’udienza di settembre: poi spetterà al collegio decidere.

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