di Enzo Beretta
Negli atti giudiziari attraverso i quali la Procura della Repubblica di Perugia ha ottenuto l’arresto in carcere di Piero Fabbri, 56 anni, responsabile della morte di Davide Piampiano, ucciso l’11 gennaio ad Assisi, le accuse contestate al muratore 56enne vengono racchiuse in 25 pesantissime righe. Il pubblico ministero Mara Pucci lo incolpa del reato di omicidio volontario: «Durante una battuta di caccia al cinghiale alle pendici del Monte Subasio, alla quale partecipava abusivamente in zona boschiva e in giorno non consentito, insieme a Davide Piampiano, cagionava la sua morte con condotte attive ed omissive». Quali? «Mirava ed esplodeva al suo indirizzo un colpo di fucile o di altra arma da fuoco e lo attingeva ad organi vitali in zona toraco-addominale, procurandogli una vistosa ferita sanguinante, di per sé idonea a cagionarne il decesso».
Le omissioni Un fatto – secondo il magistrato inquirente – che è stato «commesso omettendo di adottare le cautele minime, doverose e indispensabili, al fine di impedire l’evento infausto, altamente prevedibile nell’esercizio dell’attività venatoria di gruppo, ovvero di accertarsi preventivamente dell’effettiva natura del bersaglio avuto di mira e dell’assenza di altre persone nel suo campo di tiro». Una volta esploso il colpo, con Davide a terra, «nonostante l’evidenza e la consapevolezza della gravità della ferita cagionata nella zona toraco-addominale dove si trovano organi vitali, dell’emorragia in atto, dei gemiti e dei dolori strazianti della vittima – prosegue il pubblico ministero – ometteva e ritardava ingiustificatamente le iniziative necessarie a garantire alla vittima il soccorso immediato da parte di personale sanitario qualificato, violando specifici obblighi di protezione derivanti dalla posizione di garanzia concretamente assunta nei confronti di Davide, bisognoso e richiedente aiuto».
«Nessuna iniziativa per salvargli la vita o alleviarne le sofferenze» Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, Fabbri «ha omesso di contattare il servizio di emergenza sanitaria, istituzionalmente deputato a valutare e intraprendere le dovute iniziative al fine di salvargli la vita e/o di alleviarne le sofferenze». E «solo dopo oltre quattro minuti dall’evento, dopo aver immutato lo stato dei luoghi, ha scaricato l’arma della persona ferita e occultato la propria», insieme alle «altre tracce della sua reponsabilità». Non ha avvisato il 118. Piuttosto – prosegue la Procura – «ha rivolto la prima richiesta di intervento agli altri partecipanti alla battuta di caccia, rappresentando falsamente ai soccorritori la reale dinamica del ferimento» e «imputandolo ad un incidente causato dalla stessa vittima». La carabina di Davide, però, non ha mai sparato.
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Attesa per la decisione del giudice È attesa, intanto, in queste ore, la decisione da parte della magistratura sulla richiesta di revoca della misura cautelare dietro le sbarre avanzata dall’avvocato Luca Maori al termine dell’interrogatorio di garanzia che si è svolto ieri davanti al giudice per le indagini preliminari Piercarlo Frabotta. Il fascicolo dell’inchiesta, intanto, ha già preso la strada di Firenze in quanto la mamma della vittima, Catia Roscini, è un giudice onorario del tribunale civile di Spoleto. Per questo motivo gli atti vengono trasmessi alla Procura di Firenze per competenza territoriale.