Foto archivio generica.

di M.T.

La storia di Flavia, la mamma di Lorenzo (nomi di fantasia), entrambi vittime di violenza da parte dell’uomo di casa, che ora rischiano di essere separati da una decisione di un giudice, ha smosso la politica, dal livello locale a quello regionale e fino al Parlamento. Dopo l’interesse del sindaco di Assisi, (dove vivono) Stefania Proietti, a indagare le ragioni per cui quella che deve essere intesa come un’ultima spiaggia, ovvero la casa famiglia, viene invece considerata, per questo bambino, l’opzione immediata, nonostante sia amabilmente cresciuto dalla sua famiglia, arriva la denuncia del consigliere regionale, capogruppo Pd Tommaso Bori che esprime «solidarietà e vicinanza alla giovane madre a cui starebbe per essere sottratto il proprio figlio a seguito di una sentenza basata sull’alienazione parentale, principio non riconosciuto dalla comunità medico scientifica». E poi lancia l’allarme: «La Giustizia si fermi e si interroghi sul da farsi – chiede in una nota – prima che venga consumato questo grave abuso ai danni di un minore e della sua famiglia, sulla base di presupposti non scientifici che si rifanno ad una teoria priva di fondamento che si sta rivelando solo un ulteriore strumento di violenza contro le madri e prevaricazione delle donne. La giovane madre di Assisi, che ha trovato la forza e il coraggio di denunciare le violenze subite dall’ex partner, è l’ennesima vittima della Pas, teoria che viene troppo spesso utilizzata durante i processi di separazione in cui sono stati presenti anche abusi sulla donna e sui figli».

LA STORIA DI QUESTA MAMMA E DEL SUO BAMBINO

Tommaso Bori (foto F.Troccoli)

 

La storia di Flavia Provando a sintetizzare, Flavia, dopo avere avuto il figlio a soli 16 anni, ha sposato il papà, un uomo violento, denunciato e rinviato a giudizio. Il marito ha anche aggredito il nuovo compagno di Flavia. Da tempo il bambino non vuole incontrare il padre, fino a farsi pipì addosso quando lo incontra o persino a svenire. Dalle relazioni dell’assistente sociale, le ragioni di questo rifiuto non risiederebbero nella violenza del padre, ma nell’alienazione della madre che l’avrebbe soggiogato. Questo tipo di motivazione è emersa in tanti casi e in tante relazioni che hanno portato all’allontanamento dei figli dalle madri. Fino a smobilitare la comunità scientifica che ha contestato il presupposto scientifico di una simile teoria.

«Senza fondamento scientifico» Il consigliere entra nel merito di questa teoria e delle sue ripercussioni «Allo stato, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm) – scrive Bori – non riconosce la Pas come sindrome o malattia: nella più recente edizione (Dsm-5) non viene nemmeno menzionata, in ragione della sua ascientificità a causa della mancanza di dati a sostegno». In risposta all’interpellanza alla Camera dei deputati in materia di “alienazione genitoriale” il sottosegretario di Stato per la salute, Adelfio Elio Cardinale, ha precisato che «in linea con la comunità scientifica internazionale, l’Istituto superiore di sanità non ritiene che tale costrutto abbia né sufficiente sostegno empirico da dati di ricerca, né rilevanza clinica tali da poter essere considerata una patologia e, dunque, essere inclusa tra i disturbi mentali nei manuali diagnostici». La Suprema Corte di Cassazione italiana ha escluso la rilevanza processuale di tale sindrome, definendola priva di basi scientifiche. In un caso s’è pronunciata condannando un padre in sede penale per aver «volutamente e coscientemente messo in atto strategie e comportamenti tali da annullare nei bambini ogni possibilità di un rapporto con la madre».

Il ruolo della politica e delle istituzioni «Quando la Giustizia arriva ad assumere la decisione, non certo facile, di strappare un figlio delle braccia di una madre già provata da violenze, e di trasferirlo in una casa famiglia perché si egli si rifiuta di vedere il padre violento – sottolinea Bori – è segno evidente che è giunto il momento che la politica e le istituzioni si facciano carico di chiarire ciò che è alla base di queste dolorose vicende giudiziarie e si stringano intorno alle vittime. L’assurdo riconoscimento della sindrome di alienazione parentale – conclude Bori – rischia di continuare a pregiudicare la vita di tanti bambini rimasti, loro malgrado, vittime di un sistema di regole che finisce per punire le donne e le madri, che denunciano violenze, e i loro figli. Noi non possiamo che impegnarci per impedirlo».

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