©️Fabrizio Troccoli

di Maurizio Troccoli

Quello che state per leggere è, la contraddizione, in cifre, tra quel che si pensa e si dice e quel che si fa. Ad esempio, sull’uso del trasporto pubblico, rispetto alle abitudini dell’auto privata. L’Umbria che esprime, nei numeri, una sensibilità non comune, sicuramente al di sopra della media, rispetto ai temi che interessano la salute dell’ambiente proprio non riesce a liberarsi della pigrizia atavica legata all’automobile come prevalente strumento di trasporto. Passano gli anni, i giovani diventano più adulti, la loro sensibilità verso questi temi dovrebbe potere contaminare chi è più avanti con l’età eppure si continuano a registrare dati negativi su questo tema. Occorre quindi un cambio imposto. Chissà, ad esempio, quanto sarebbe utopico, o forse più concretamente compatibile con le caratteristiche dell’Umbria, il modello ‘Ciuffini’ (probabilmente il maggiore esperto sul tema di questa regione) di concepire le città con servizi a 15 minuti a piedi. Ovvero riposizionare i principali punti quotidianamente raggiunti dalle persone per le proprie faccende, ad un massimo di 15 minuti a piedi da ogni abitazione di quel quartiere. Ma prima ancora di addentrarci in proposte e soluzioni che, come vedremo, ce ne sono a sufficienza in giro per il pianeta, diamo una rispolverata alle cifre.

In Umbria il trasporto pubblico perde utenti da oltre un decennio e i dati più recenti confermano che non si tratta di una fase congiunturale, ma di una tendenza strutturale. Secondo le serie storiche Istat ed elaborazioni della Regione Umbria, la quota di popolazione che utilizza abitualmente autobus e treni è passata da oltre l’11 per cento nel 2012 a poco più del 5 per cento nel periodo 2021-2023. Una riduzione superiore al 50 per cento in dieci anni, senza segnali di vera inversione dopo la pandemia. Nello stesso arco temporale la media del Centro Italia resta stabilmente sopra il 20 per cento, ampliando il divario territoriale.

Il dato trova conferma anche negli indicatori di utilizzo del trasporto pubblico locale. A Perugia i viaggi annui per abitante risultano inferiori a 55, a Terni sotto quota 40, valori lontani dalle città italiane con sistemi di trasporto più performanti e non ancora tornati ai livelli pre-Covid. Nel frattempo cresce la mobilità privata: nel 2023 l’Umbria supera le 75 auto ogni 100 abitanti, uno dei tassi di motorizzazione più elevati dell’Italia centrale. Il risultato è un modello di spostamento sempre più centrato sull’auto, con il trasporto pubblico relegato a scelta residuale.

Questo andamento negativo si inserisce però in un contesto che, almeno sul piano culturale, racconta altro. I dati Istat sulla percezione ambientale mostrano che gli umbri dichiarano una sensibilità superiore alla media nazionale su alcuni temi chiave. Nel 2024 il 62,4 per cento della popolazione di 14 anni e più indica il cambiamento climatico come una delle principali preoccupazioni ambientali, contro una media italiana del 58,1 per cento. È uno degli scarti più netti registrati tra Umbria e resto del Paese su questo indicatore e conferma una consapevolezza diffusa rispetto ai temi ambientali globali.

Tuttavia, questa sensibilità non si traduce in comportamenti coerenti sul piano della mobilità. Gli stessi dati ufficiali mostrano che l’Umbria non registra performance superiori alla media nazionale né sull’uso del trasporto pubblico né sulla mobilità alternativa. La consapevolezza ambientale non si accompagna a un aumento degli spostamenti collettivi, né a una riduzione dell’uso dell’auto privata. Il divario tra atteggiamenti dichiarati e scelte quotidiane resta ampio e stabile nel tempo.

È un punto centrale perché indica che la leva culturale, da sola, non è sufficiente. Le esperienze europee più efficaci mostrano che il cambio di comportamento avviene solo quando le politiche pubbliche intervengono su costi, semplicità e affidabilità del sistema. In Germania l’introduzione del biglietto nazionale a prezzo calmierato ha prodotto un aumento immediato e misurabile dell’uso del trasporto pubblico regionale e locale, con un costo per lo Stato giustificato come investimento strutturale per la riduzione delle emissioni e della congestione. In Spagna il governo ha seguito una strada analoga, introducendo un abbonamento nazionale a prezzo fisso per treni e trasporti regionali, finanziato con fondi pubblici e inserito esplicitamente nelle politiche di contrasto al caro-vita e alla crisi climatica.

Altri Paesi hanno scelto soluzioni ancora più radicali. Il Lussemburgo ha reso gratuito l’intero sistema di trasporto pubblico nazionale, coprendo i costi attraverso la fiscalità generale. A Tallinn, capitale dell’Estonia, la gratuità del trasporto pubblico per i residenti è in vigore dal 2013 ed è stata sostenuta anche dall’aumento delle registrazioni anagrafiche, che ha ampliato la base fiscale cittadina. A Montpellier, in Francia, la gratuità del trasporto urbano ha portato a un aumento significativo dei viaggi già nei primi mesi, con costi assorbiti dal bilancio comunale e da fondi dedicati alla transizione ecologica.

Accanto alle politiche tariffarie, diverse città europee e italiane hanno sviluppato misure di integrazione operativa tra trasporto pubblico e mobilità ciclabile, pensate anche per superare limiti fisici come dislivelli e percorsi complessi. A Modena, nell’ambito di progetti finanziati da programmi europei sulla mobilità sostenibile, è stato attivato il servizio BiciBus, che consente di trasportare gratuitamente la bicicletta sui bus urbani, rendendo possibile utilizzare il mezzo pubblico nelle tratte più impegnative e la bici nei percorsi pianeggianti o in discesa. La misura è stata accompagnata da incentivi all’acquisto di biciclette pieghevoli e da politiche di integrazione tariffaria, con l’obiettivo dichiarato di favorire l’intermodalità nei tragitti quotidiani. A Bolzano il trasporto delle biciclette sui mezzi pubblici è consentito su linee e fasce orarie dedicate, in particolare sui collegamenti che servono le zone più alte della città, mentre a Trento l’integrazione tra bus, treno e bicicletta è parte strutturale del piano urbano della mobilità sostenibile. In ambito europeo, città come Innsbruck e Zurigo includono il trasporto della bicicletta nei titoli di viaggio annuali o lo rendono gratuito su determinate tratte, soprattutto in presenza di forti dislivelli. In Francia, contesti urbani complessi come Grenoble e Clermont-Ferrand hanno sviluppato sistemi integrati bus-tram-bici per rendere praticabile la mobilità ciclabile anche in aree collinari. Parallelamente, alcune città italiane hanno legato direttamente l’abbonamento al trasporto pubblico ai servizi di micromobilità: a Roma gli abbonati Metrebus ricevono bonus mensili per l’uso di biciclette e monopattini elettrici in sharing, mentre a Novara l’abbonamento urbano include ore gratuite o fortemente scontate di bike e scooter sharing, con l’obiettivo di ridurre il costo complessivo dello spostamento multimodale e coprire l’ultimo miglio.

Un secondo filone riguarda gli incentivi economici diretti al cambiamento di comportamento. In Emilia-Romagna, attraverso il programma regionale Bike to Work, comuni come Faenza, Cesena e Rimini riconoscono un contributo economico ai cittadini che utilizzano la bicicletta per gli spostamenti casa-lavoro, calcolato sui chilometri percorsi e finanziato con fondi regionali e risorse per la qualità dell’aria. Nel Regno Unito, città come Coventry hanno introdotto sistemi di “crediti di mobilità” legati alla rottamazione di veicoli inquinanti: chi rinuncia all’auto riceve bonus spendibili su trasporto pubblico, bike sharing e altri servizi di mobilità sostenibile. In Francia e nei Paesi Bassi sono stati sperimentati programmi di incentivazione basati su app che premiano economicamente i chilometri percorsi in bici o con mezzi a basse emissioni, con finanziamenti provenienti da fondi climatici e ambientali. In diversi di questi casi, le amministrazioni coinvolte hanno evidenziato costi inferiori rispetto agli investimenti stradali tradizionali e benefici misurabili in termini di riduzione del traffico urbano, delle emissioni e della congestione, per cui hanno stabilito di dare continuità all’iniziativa.

Le esperienze più efficaci a livello europeo mostrano che il cambiamento dei comportamenti avviene solo quando l’offerta di mobilità sostenibile è supportata da misure concrete: integrazione reale tra mezzi, riduzione dei costi per l’utente finale, incentivi economici stabili e semplicità di utilizzo. In assenza di politiche pubbliche strutturate e finanziariamente sostenibili, la sensibilità ambientale resta un indicatore culturale, ma non diventa un fattore in grado di incidere sui modelli di spostamento quotidiani.

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