Arianna Ciccone (foto M.A.Manti)

di Maurizio Troccoli
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Non è soltanto la fondatrice di un festival di giornalismo internazionale che richiama, a Perugia, le più grandi firme del mondo e le più avanzate innovazioni sul versante dell’informazione. Ma anche una giovane donna che ha detto no ai finanziamenti pubblici, se le istituzioni li consideravano come un costo e non come un investimento. Ora è anche una garanzia su uno strumento visto con sospetto, e forse eccessiva prudenza, da quell’Italia lenta e poco incline alle scelte da giocatori d’azzardo, il crowdfunding. E’ Arianna Ciccone.

Una prova di forza vinta Dopo avere dimostrato, con una prova di forza notevole che, anche in Italia, anche nella piccola Umbria, è possibile fare crowdfunding, dopo avere messo a rischio una iniziativa di successo per le proprie idee, dopo avere annunciato anche la possibilità di sospendere il festival, fa il bilancio di una esperienza di raccolta fondi e, sulla scorta di quanto vissuto sulla pelle dell’organizzazione, annuncia a Piazzadigitale.corriere.it quelle che potrebbero essere le novità del 2015.

Le due strade Due nella sostanza. La prima: sostegno misto pubblico privato, con le dovute proporzioni. La seconda: più internazionalità. Ma andiamo per ordine. Stando all’intervista a firma di Federico Thoman, entrambi le ipotesi lasciano spazi di riflessione se non possibilità di decifrare un messaggio scritto tra le righe. Dall’intervista sembra chiaro che Ciccone dica: il crowdfunding è un’esperienza avvincente, ma che mette a dura prova. Può essere uno strumento, ma non lo strumento. Utile per iniziative specifiche come lavori di inchiesta, ma non l’unico metodo di finanziamento per progetti complessi di giornalismo. Insomma un modello che potrà ripetersi per l’ Ijf 2015, ma sicuramente in forma ridotta rispetto a quest’anno. Quindi ritorno al sostegno anche pubblico: «Il contributo pubblico alla cultura è fondamentale», ha detto nell’intervista, ma anche nelle motivazioni che l’hanno spinta a rifiutarli, Arianna Ciccone, disegnando, in quel rifiuto, la denuncia di un metodo non condiviso di sostegno alla cultura, in questa città e in questa Regione.

Simulazione Insomma si potrebbe simulare uno scenario di questo tipo con Ciccone che dica: una volta che ci siamo chiariti su tutti i punti, compreso quello che da soli siamo in grado di dimostrare a questa città e a questa realtà che il Festival ha una sua robustezza, si riaprirà il confronto e il dialogo con le istituzioni locali. Ma se si dovessero intravvedere segnali come quelli già visti, allora l’ipotesi di Perugia come città che ospita il festival diventa sempre più evanescente. Lo lascerebbero intendere gli interventi dell’organizzatrice in questo lungo periodo di lavoro. I profili dei protagonisti del crowdfunding (dai donor ai gold donor), ovvero quelli che erano appassionati del festival e oggi in qualità di sostenitori hanno qualcosa da dire e forse anche da rivendicare alle istituzioni. E lo dice quel concetto che campeggia sul ‘laboratorio Festivaldelgiornalismo’ che è «più internazionalità». E’ così sbagliato leggere tra le righe?

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