di M.Alessia Manti
«E’ una tragedia nazionale. Queste storie ci riguardano da vicino perchè ci dicono come siamo nel profondo». Riccardo Iacona è schietto, come sempre. Ha abituato il suo pubblico a questo, come è giusto che sia per chi di lavoro fa il giornalista. Al Festival di Perugia ha raccontato un viaggio, il suo: si è addentrato nel dramma del femminicidio, nelle tante vicende di donne morte ammazzate dai loro uomini. In Italia, nelle nostre città, nelle nostre province, nell’appartamento accanto. Lo ha raccontato – insieme alla collega Concita De Gregorio – davanti ad una platea in cui di uomini ce n’erano molti. Un viaggio per accendere la luce e portare all’attenzione una tematica che, come lo stesso Iacona afferma, «è ancora una specie di tabù».
Una storia corale Non una sequenza di casi di cronaca isolati. Non soltanto la storia di Vanessa Scialfa, strangolata con il cavo del lettore dvd in un appartamento di Enna; e neanche quella di Antonia Bianco, trafitta da uno spillone puntato al cuore in una strada di San Giuliano Milanese. Ma una storia corale, che riguarda tutti, perché parla degli italiani, del malinteso senso dell’onore, dell’incapacità di gestire e riconoscere la violenza, della desolazione del Sud e delle periferie, del maschilismo e dei silenzi che ancora regolano i rapporti tra le donne e gli uomini. ‘Se questi sono gli uomini’ è dunque l’ultimo lavoro del giornalista Rai, scritto e poi trasformato anche in inchiesta televisiva, in cui già solo i numeri sono un primo, importante dettaglio: solo a metà del 2012 sono state più di 80 le donne uccise in Italia dai loro compagni. 137 nel 2011. Una ogni tre giorni.
Omicidi di genere Elisa Claps, Anna Rosa Fontana, Anna Esposito, Sveva Taffara, Vlady Acchiappati. Femminicidi che ancora, troppo spesso, vengono definiti delitti passionali, drammi della gelosia, raptus di follia. Sono omicidi di genere. L’esperienza di Iacona è interessante e originale, prima di tutto perchè è un uomo che ne parla e poi perchè non si ferma ai dati ma si pone delle domande. Da uomo. Entrando nel dramma. «Mi ci metto anch’io – ha detto alla platea della sala dei Notari di Perugia il giornalista di Presa Diretta – dobbiamo fare un semplice esercizio: quanti di noi si riconoscono in questi racconti, anche solo in parte?»
Il nostro Afghanistan «Le donne ammazzate dagli uomini, non sono vittime ma eroine perchè morte dopo una vera e propria prigionia. 1/3 delle donne italiane subisce violenza. E’ un dato allarmante. Anche le donne italiane portano il burqa, è il nostro Afghanistan. Solo che non lo riconosciamo». Iacona punta il dito sui media, denunciandone la reticenza nell’affrontare la tematica: «È stato un viaggio importante come quelle inchieste alla fine delle quali sei più ricco perché hai scoperto delle cose. Affrontare queste storie è andare alla ricerca del nostro paese. Chi ha una platea vasta tra i miei colleghi dovrebbe occuparsene. Proprio come se fossero vicende di mafia»
Gender Gap: l’Italia è ultima Inevitabile che la riflessione si sposti su un’altra questione che è una delle matrici del problema: l’Italia è un paese profondamente ostile alle donne, tant’è che nella classifiche Gender GAP (The Global Gender Gap Report) la donna italiana è l’ultima. Questo si evince in tanti modi. Anche sul fronte istituzionale. «Siamo un paese che non ha accolto le donne e continua a non farlo – ha detto la De Gregorio -, basti pensare che a Montecitorio i bagni per gli uomini sono 33 e quelli per le donne 3»
Piattaforma politica: Cosa fare? Una tematica che dovrebbe occupare anche l’agenda politica partendo dalla consapevolezza che il grande elettorato femminile in parlamento potrebbe fare, adesso, la differenza. Secondo Iacona si è fatto ancora poco. «Per esempio, la legge sullo stalking risulta essere una specie di trappola per le donne – ha detto il giornalista -, perché le procure non sono attrezzate per la domanda. Una buona fetta resta comunque inespressa. Se il paese non si attrezza le tragedie, spesso annunciate, continuano. Ma è un alibi non avere le attrezzature. Non un’azione esclusiva della polizia ma una rete organizzata in sportelli, case rifugio, centri di accoglienza. «Se dai la risposta il numero delle violenze diminuisce e questo significa anche risparmio». La violenza costa anche economicamente, perchè la cura, si sa, costa più della prevenzione.