©️Fabrizio Troccoli

di Giorgia Olivieri

Paura per il futuro, incertezza generalizzata, sensazione costante di preoccupazione: sono solo alcuni dei sintomi dell’ecoansia, il disturbo, diffuso nei giovani sotto i 30 anni, legato agli effetti della crisi climatica sul pianeta e sulla vita di tutti. Umbria24 ha raccolto le testimonianze di alcuni attivisti umbri in età critica e del sociologo e psicologo Giulio Trivelli per capire come il fenomeno sia diffuso anche nella regione.

Che cos’è l’ecoansia Il termine ecoansia, di recente conio, è al centro del dibattito scientifico nel mondo della psicologia. «Basta frequentare adolescenti e giovani – racconta Trivelli – per capire che hanno una preoccupazione legata al clima, sia per motivi anagrafici che per via della prospettiva di vita che hanno di fronte». La diffusione di questo disturbo tra i membri della Gen Z (con l’espressione ci si riferisce alle persone nate tra la fine degli anni ’90 e i primi anni ’10 del XXI secolo) e di parte dei millennials trova, quindi, ragioni culturali e generazionali. «Già Ippocrate e Aristotele evidenziavano la correlazione tra salute psichica e gli effetti del clima; è un tema ben lungi dall’essere solo contemporaneo, ha anzi interessato da sempre il genere umano», sottolinea lo specialista. L’ansia nasce nel genere umano quando questo viveva ancora sugli alberi, «perché ci permetteva di salvarci da azioni predatorie. Oggigiorno –  spiega Trivelli – il cervello non crea l’ansia se siamo inseguiti dai predatori, ma sempre in virtù di qualcosa di concreto e i cambiamenti climatici lo sono». Gli under 30 sono al centro di questo fenomeno anche a causa del gap di conoscenza a riguardo con le generazioni più adulte: «I ragazzi sanno prendere le informazioni e filtrarle in maniera funzionale, al contrario di quelli che chiamiamo boomers e non è solo un fatto da meme che non sappiano riconoscere le fake news; per questo i giovani sono più toccati dalle notizie».

Aiuto ho l’ecoansia Tra i soggetti che provano più ecoansia rientrano specialmente quanti si occupano di attivismo, dal momento che sono più consapevoli della situazione mondiale legata alla crisi climatica. Tommaso, membro di Extinction rebellion, classe ’93, racconta di aver scoperto il termine ecoansia «provandola, ho la sensazione che possa succedere qualcosa di molto brutto molto presto e questa possibilità si concretizza giorno dopo giorno, il rischio estinzione è sempre più presente». Emanuele, del gruppo di Fridays for future, sempre nato nel ’93, spiega di aver scoperto il termine ecoansia facendo attivismo, «provando questa sensazione avevo bisogno di fare qualcosa, l’ho realizzato durante il periodo universitario, poi sono riuscito a dare un nome alle mie preoccupazioni». C’è poi chi riporta di aver scoperto l’ecoansia attraverso i social, come Martina di Unione degli universitari, che ha 22 anni, e Alice, un anno più grande, parte del progetto Una regione per restare. Andrea, invece, classe 2004, ha scoperto il tema approfondendo un argomento scolastico e così si è accorto di provarla. Tommaso sottolinea che per lui il problema «va oltre l’ansia, è parte della nostra realtà. È come il Savonarola di Non ci resta che piangere che ci ricorda che dobbiamo morire, il cambiamento climatico ci ricorda che stiamo tutti per morire».

Le conseguenze sul futuro Sono innanzitutto le prospettive a lungo termine a essere condizionate dall’ecoansia per chi la prova. Alice spiega che per lei «l’idea di fare sforzi per trovare una dimensione di vita personale e non sapere quanto sarà applicabile a causa di quello che sta accadendo, è un elemento di grande ansia. Banalmente nella prospettiva familiare mi mette grande preoccupazione l’idea di consegnare ai miei figli un mondo invivibile e non in grado di resistere alla generazione successiva quanto a noi». Emanuele, invece, da quando ha iniziato a muoversi negli ambienti ecologisti, ha deciso di «modificare il mio percorso di studi concentrandomi sul tema dei cambiamenti climatici». Francesco, membro di Unione degli studenti, a soli 17 anni, ha spiegato che sente il bisogno che nelle scuole ci siano «corsi di ambientalismo non portati da multinazionali ma da persone che non vogliono fare solo greenwashing». Anche le azioni quotidiane hanno la loro attenzione, Tommaso ad esempio racconta che «non avrei mai pensato di iniziare a nutrirmi principalmente di vegetali, eppure è successo, perché fai i conti con alcune cose per coerenza e rifiuto del sistema di produzione di carne e derivati sia a livello etico che ambientale». Alice, invece, spiega che non ha la patente e preferisce spostarsi «a piedi o in bici, le banalità sono tante, ma è importante stare attenti agli sprechi, consumare poca carne e cercare quanto più possibile la sostenibilità». Andrea infatti ricorda che avere l’ecoansia «spinge gli individui a comportarsi in modo nettamente più responsabile rispetto alle piccole cose».

Mi fanno venire l’ecoansia Al centro delle cause quotidiane dell’ansia legata ai fenomeni ambientali c’è, per molti giovani, la cronaca locale e internazionale. «Le notizie quotidiane sui disastri ambientali – per Emanuele – mettono agitazione, anche se se ne parla sempre troppo poco, e anche questo paradossalmente crea ecoansia perché dà la sensazione che si cerchi di nascondere la polvere sotto il tappeto». Per Alice, invece, «la cosa che più mi spaventa e preoccupa è che non c’è un cambio di tendenza sul territorio, ad esempio, il nuovo termovalorizzatore approvato da 160 mila tonnellate in una Regione così piccola, dove già sono presenti degli inceneritori che fanno danni, tra 4 anni ci farà respirare quello che butta nell’aria e questo non mi mette serenità». Secondo l’esperienza di Martina e Francesco, inoltre, sono le notizie legate alla siccità, agli incendi e l’attuale situazione del Trasimeno a scatenare il disturbo da ansia. Ad aumentare la percezione del disastro ambientale è anche la narrazione che se ne fa, non solo da parte dei media e dei social network, ma anche «dalla politica, che dovrebbe affrontare con più serietà il tema», per Francesco. «Dopo l’ecoansia verrà l’ecorabbia – riporta Tommaso – è come il processo del lutto, dopo tanti anni di negazione ora c’è l’accettazione malinconica, specialmente tra chi ha 30 o 40 anni. Nel momento in cui toccheremo veramente con mano gli effetti della crisi climatica, la gente si arrabbierà davvero».

Gestire l’ecoansia Nonostante la sensazione di disagio, si cerca sempre il modo di arginare l’ecoansia. Tra le strategie più comuni quella di allontanarsi  dai social: «Capita spesso che io spenga tutti i dispositivi per allontanare la testa dal mondo reale – rivela Emanuele – ma non dobbiamo mai abbassare la guardia, specialmente in una regione che sta prendendo decisioni totalmente sbagliate». Anche secondo Tommaso, è sì importante «non farsi sovrastare dall’enorme rumore della catastrofe, è sano distaccarsi ma mantenendo la consapevolezza della situazione generale. L’ecoansia è anche la realizzazione che la storia non è finita, nel momento in cui riconosci la crisi climatica puoi scegliere di avere un ruolo in tutto questo».  È anche l’attivismo stesso la medicina migliore per l’ecoansia, «credo che sia importante cercare di spingere le persone che abbiamo intorno a ribellarsi a tutto quello che porta alla distruzione del nostro pianeta, anche solo scendendo in piazza a manifestare», spiega Andrea.

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