di Daniele Bovi
«Non c’è nessuna intenzione di favorire gli italiani» dissero alcuni dentro la maggioranza, a partire dal sindaco Andrea Romizi, modificando le regole per l’assegnazione delle case popolari mentre altri lo rivendicavano come obiettivo primario; e infatti così è andata a finire e che così sarebbe finita era chiaro a tutti, o almeno a quelli che hanno un minimo di dimestichezza con il settore. Lunedì nel corso di una conferenza stampa l’assessore comunale al welfare Edi Cicchi e il presidente di Ater Alessandro Almadori hanno fatto il punto sull’ultimo bando del Comune i cui risultati erano noti da qualche mese, cioè da quando era stata pubblicata la graduatoria: l’Amministrazione rivendica che la percentuale di italiani presenti in graduatoria è pari al 54 per cento tra i primi 100 (+21 per cento rispetto al 2014) e al 48,50 per cento tra i primi 200 (con un aumento del 13 per cento rispetto al passato). Questi sono quelli che, realisticamente, potrebbero ottenere una delle 1.700 case circa che fanno parte del patrimonio edilizio.
LA GRADUATORIA
LE MODIFICHE FATTE NEL 2015
Più italiani Attualmente, spiegano gli uffici, sono state già analizzate un’ottantina di pratiche e alcuni punteggi sono stati cambiati. Complessivamente sono state 945 le domande presentate di cui 793 ammesse. Rispetto all’ultimo bando il calo delle prime è di oltre il 19 per cento, mentre è in aumento la quota rappresentata dagli italiani (compresi gli stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza, dato negli ultimi anni in netta crescita): se nel 2014 erano il 33 per cento, ora sono il 39. Insomma, grazie al meccanismo voluto dalla maggioranza comunale gli italiani presentano qualcosa meno del 40 per cento delle domande ma occupano circa la metà dei posti ‘buoni’ per ottenere quella casa che, è bene ricordarlo, è un diritto fondamentale della persona, senza distinzioni di nazionalità, e tutelato anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
MODIFICHE FATTE CON I DATI DELL’ANAGRAFE RESIDENTI
Le modifiche La modifica al regolamento comunale votata nell’aprile 2015 interviene sull’articolo 5 assegnando due punti invece che uno al richiedente che abita a Perugia da almeno 10 anni e poi 4 a coloro che sono in città da almeno 15 (in entrambi i casi la residenza deve essere continuativa). I punti relativi a figli, licenziamenti, decessi, residenza e così via sono cumulabili fino a un massimo di quattro. Insomma, a punteggi invariati la residenza può diventare un fattore più pesante, ai fini della graduatoria, di altri casi di evidente disagio sociale. E quattro punti incidono in modo significativo: basti pensare, infatti, che in prima posizione quest’anno c’è una persona con un punteggio pari a 19. «L’aumento della percentuale di cittadini italiani – ha spiegato Cicchi – è dovuta anche all’introduzione del nuovo criterio dei 15 anni di residenza nel territorio comunale, che ha permesso a cittadini anche singoli di entrare in graduatoria. Indubbiamente, è un dato da non sottovalutare perché denota comunque un aumento della povertà tra i nostri connazionali».
VIDEO – ROMIZI: «REGOLE NON PER FAVORIRE ITALIANI»
I DATI: IN UMBRIA 80% DELLE CASE ASSEGNATE A ITALIANI
Investimenti Ater A fronte delle domande pervenute sono 120 gli alloggi a disposizione a canone sociale, di cui il 40 per cento di proprietà del Comune di Perugia. Di questi, 42 sono stati riqualificati di recente. Con il precedente bando del 2014 invece erano stati assegnati in totale 59 alloggi (19 nel 2015 e 40 nel 2016), a cui si sono aggiunti 19 alloggi per emergenza abitativa (5 nel 2015, 11 nel 2016 e 3 nel 2017) e quattro per esigenze socio sanitarie (due nel 2015, uno e uno rispettivamente per i due anni successivi) per un totale di 82 alloggi assegnati. «Complessivamente abbiamo investito circa 7 milioni di euro – ha aggiunto Almadori – di cui tre milioni per gli alloggi del bando e quattro milioni per la manutenzione straordinaria di otto edifici. Attualmente, rispetto ai 1.700 alloggi circa su Perugia, tra quelli di Ater e quelli del comune, ne restano da qualificare solo una decina, il che significa che abbiamo la disponibilità piena del patrimonio di Ers e che, per il futuro, insieme al Comune, possiamo concentrarci sulla riqualificazione delle aree e dei quartieri di edilizia residenziale sociale».
Guerra tra poveri Nonostante l’evidenza dei numeri in molti si è radicata l’idea di una presenza di stranieri sovradimensionata. Stando agli ultimi dati Ater a disposizione risalenti alla fine del 2012, in Umbria, dove gli stranieri in totale sono circa l’11 per cento, già otto case su dieci sono state assegnate a famiglie italiane mentre a Perugia su 1.510 in 1.050 (69,5 per cento) si parla italiano. C’è dunque la necessità di favorire palesemente gli italiani? In Umbria, come nel resto d’Italia, secondo l’Istat oltre l’84 per cento delle famiglie ha una casa di proprietà, fattore che con tutta evidenza esclude dalla partecipazione al bando. In più gli stranieri che arrivano in Italia hanno un reddito mediamente più basso e, in genere, non hanno la rete di salvezza rappresentata dai famigliari ai quali potersi appoggiare in momenti di difficoltà. Ecco perché la partecipazione ai bandi delle persone straniere è – sulla base di evidenze logiche – molto più alta. Il presunto allarme dunque non esiste e chi lo cavalca gioca pericolosamente a fomentare una orribile guerra tra poveri.
Twitter @DanieleBovi