Un cacciatore

di Daniele Bovi

Euro più euro meno, in nove anni i danni inferti dai cinghiali agli allevamenti e all’agricoltura in Umbria sono costati alle casse pubbliche quasi 7 milioni di euro. Le tabelle fitte di numeri sono nella borsa dell’assessore regionale all’Agricoltura Roberto Morroni che, mercoledì a Perugia, ha presentato le misure per il contenimento di una specie per la quale, al momento, non esiste neppure un censimento. La cosa certa è che «c’è una presenza eccessiva che provoca danni all’agricoltura e pone rischi per l’incolumità pubblica». I provvedimenti sono stati approvati in mattinata dalla giunta e, tra i più importanti, c’è quello anticipato alcuni giorni fa, e cioè l’abbassamento da 48 a 4 ore del tempo concesso all’Atc (l’Ambito territoriale di caccia) per intervenire in caso di chiamata: passate 4 ore, l’imprenditore agricolo – dotato di licenza di caccia – che troverà un cinghiale in un suo terreno potrà sparare.

Le misure Nelle ore notturne poi non sarà necessaria la presenza di due guardie venatorie bensì di una soltanto, mentre con una modifica al regolamento se ora ci si deve rivolgere «prioritariamente» alle squadre di caccia iscritte nel territorio, verrà data la possibilità agli Atc di organizzare gli abbattimenti «anche» con i cacciatori formati e autorizzati. Chiuso il capitolo dei provvedimenti più urgenti, la Regione punta ad approvare un altro pacchetto nel giro di alcune settimane. Per quanto riguarda il calendario venatorio l’apertura della caccia al cinghiale, che durerà sempre tre mesi, slitterà dal primo ottobre al primo novembre così da allineare l’Umbria alle regioni vicine ed «evitare – ha detto Morroni – che gli animali ‘migrino’ qui da noi quando la caccia è chiusa». La proposta, che sarà approvata in tempi brevi, è stata già presentata alla Consulta faunistico-venatoria ed entro il 20 arriveranno le osservazioni delle associazioni del settore.

Il secondo pacchetto Ad aprile invece la giunta varerà un altro pacchetto che riguarderà, tra le altre cose, l’attribuzione dei settori, la ridefinizione delle aree dove i cinghiali potranno o no stare e il protocollo da seguire quando questi animali si trovano in aree protette. Morroni ha parlato anche della possibilità di dare vita, come accade già in altre parti d’Italia, a una «filiera corta» della carne di cinghiale, trasformando così il problema «in una opportunità economica». «Non è più tollerabile – ha aggiunto l’assessore – trovarsi i cinghiali sotto casa. Voltiamo pagina con misure, frutto del confronto con cacciatori, ambientalisti e agricoltori, che testimoniano la volontà politica di governare una specie cresciuta di anno in anno in modo esponenziale. Si tratta di un segnale di attenzione e non esito a calpestare interessi particolari se devo perseguire quello generale».

I numeri Dati precisi sulla diffusione dei cinghiali non ce ne sono, mentre nessun dubbio c’è sulle somme sborsate per danni: quelli inferti alla zootecnia, pagati dalla Regione, sono costati 904 mila euro tra il 2015 e il 2019. Per quelli all’agricoltura invece, tra 2010 e 2018 l’Atc Perugia 1 ha versato 2,3 milioni, l’Atc Perugia 2 1,3 milioni e quello di Terni 2,2; totale, quasi sette milioni. Non soddisfacenti poi i risultati dei piani di abbattimento: dal 2010 al 2019 ne erano previsti 76.348 ma quelli effettivamente realizzati sono stati 54.225 (71%); meglio nell’Atc 2 con 36.774 su 39.888 mentre a Terni 41682 su 58.753. Ecco perché nelle ultime ore è partita dall’assessorato una lettera agli Atc con cui si sollecita il contenimento e si indicano i settori dove maggiore è lo scarto tra gli abbattimenti programmati e quelli effettivamente fatti. «La caccia al cinghiale – ha concluso Morroni – coinvolge 10 mila persone e la giunta, come l’attività venatoria in generale praticata da oltre 20 mila cacciatori, vuole tutelarla». Anche perché, per tutti, si tratta di un importante bacino di consensi.

Twitter @DanieleBovi

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