Parigi vuota durante l'emergenza Covid

di Filippo Andrea Rossi

Si chiama Arianna, 24 anni, e si è trasferita a Parigi lo scorso novembre subito dopo essersi laureata in Fisica presso l’Università degli Studi di Perugia. Da allora, svolge il suo lavoro di ricerca sulle proprietà dei nanomateriali all’interno del Laboratoire Physique des Solides.

Cambi di prospettiva Tra i suoi colleghi di lavoro, anche un ragazzo cinese proveniente da Wuhan: «Quando a febbraio si parlava delle notizie sull’epidemia di Covid-19 in Cina – racconta –, notavo la sua agitazione. Aveva smesso di prendere i mezzi pubblici per paura del contagio: ma pensavo allora che le sue preoccupazioni fossero eccessive». Poi il cambio di prospettiva. «Dopo l’escalation dei casi italiani, ho capito quanto qui in Francia si stesse sottovalutando la faccenda. Era ora la mia ansia a non essere compresa dagli altri». Anche dopo le misure straordinarie adottate dall’Italia – continua – i parigini hanno continuato a sentirsi al sicuro, sottovalutando l’apprensione degli italiani in Francia per l’intera settimana del 9/3. «Tutto questo fino al 16 marzo, quando finalmente è arrivata la chiusura anche qui. Da allora mi sento molto più sicura».

Somiglianze e differenze «Ho limitato le uscite al minimo necessario», ci dice Arianna. Anche in Francia infatti è obbligatorio munirsi di autocertificazione per gli spostamenti e, come in Italia, le mascherine sono diventate merce rarissima. Altra somiglianza: anche a Parigi si diffondono le manifestazioni spontanee dai balconi: «Qui nella via, tutti i giorni alle 20 si applaude dalla finestra per mostrare solidarietà agli infermieri in lotta contro l’epidemia». Ci informa però di alcune differenze: «Mi dicono che in Italia quasi tutte le persone indossano anche i guanti nei supermercati, qui invece questa abitudine è del tutto assente». Per quanto riguarda i media, poi, «noi non veniamo sommersi di numeri sui contagi e sulle vittime: percepisco una maggiore discrezione nella comunicazione sull’emergenza».

Una scelta consapevole Come mai Arianna ha deciso di restare all’estero? «Non ho mai avuto dubbi a riguardo. A Perugia vivo con la mia famiglia e i miei nonni: affrontare il viaggio di ritorno in quei giorni concitati prima della chiusura avrebbe significato moltiplicare le possibilità di contagio ed esporre i miei cari al virus, una volta rientrata». E la solitudine? «A dire la verità sono più i miei amici e familiari a preoccuparsi del fatto che stia da sola. Stare soli non vuol dire necessariamente stare peggio. Continuo a lavorare da casa, mi tengo in forma e, in realtà, sento molto più i miei amici di quanto facessi prima». Sorride: «Abito in una piccola stanza di 16 metri quadri, ma posso dire che, in attesa della risoluzione dell’emergenza sanitaria, sono riuscita a trovare la mia dimensione».

Articolo realizzato nell’ambito del Progetto FISE- Europe Direct Terni – Comune di Terni –Dip. di Scienze Politiche dell’Università di Perugia, con il cofinanziamento della Commissione Europea

 

Questo contenuto è libero e gratuito per tutti ma è stato realizzato anche grazie al contributo di chi ci ha sostenuti perché crede in una informazione accurata al servizio della nostra comunità. Se puoi fai la tua parte. Sostienici

Accettiamo pagamenti tramite carta di credito o Bonifico SEPA. Per donare inserisci l’importo, clicca il bottone Dona, scegli una modalità di pagamento e completa la procedura fornendo i dati richiesti.