Operai al lavoro (foto ©Fabrizio Troccoli)

di Maurizio Troccoli

E’ un’Umbria che cresce ma non assume, quella delle imprese di casa nostra, passate sotto la lente degli economisti. E se recupera il gap con il sistema di riferimento, di Marche e Toscana, sul versante dell’industria manifatturiera, perde invece sul mondo dei servizi tradizionali, ovvero del terziario. Le imprese tendono a risparmiare di più di quelle delle altre due regione, garantendosi, a volte, persino margini di redditività maggiore, mentre il suggerimento che arriva dai numeri è quello che occorre investire di più sia su manager competenti, che su lavoro qualificato. Ecco la fotografia scattata in occasione della conferenza regionale dell’economia e del lavoro.

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L’analisi Dall’analisi di Bruno Bracalente, docente di Economia e statistica all’università di Perugia, quella umbra è una condizione tra luci e ombre. «Le luci – spiega – vengono dall’industria manifatturiera, che è cresciuta sia sul valore aggiunto che sulla produttività, in maniera ancora più evidente. Nonostante abbia sofferto sempre di produttività. Le ombre invece – continua – ci sono sul mondo dei servizi tradizionali, il terziario, un settore esteso che coinvolge molta manodopera. Qui la situazione è stagnante sia sul valore aggiunto che sulla produttività. Il divario sul terziario è molto ampio, rispetto all’area di riferimento, ovvero le regioni Toscana e Marche». A parere di Bracalente occorrono «investimenti in produttività, che significa qualità manageriale in grado di fare innovazione che poi genera valore aggiunto».

Dimensioni contano Un altro aspetto che emerge dall’analisi è la dimensione dell’impresa. Se in Toscana e nelle Marche questa non ha influenza sulla capacità competitiva e sul valore aggiunto, in Umbria non è così. Significa che in Umbria per eccellere bisogna diventare grandi, mentre nell’area di riferimento anche medio-piccole aziende hanno alti standard di innovazione, produzione e valore aggiunto. Bracalente lo spiega con il concetto del distretto. Toscana e Marche infatti hanno i distretti produttivi, dentro cui un’azienda può ritagliarsi una fetta di filiera ed essere protagonista assoluta in quella. In modo da relazionarsi con il resto del distretto provando ad esserne sempre all’altezza.  In Umbria invece, l’azienda deve provare a fare tutto da sé e quindi ingrandirsi. Infine Bracalente spiega un’altra peculiarità dell’impresa umbra, quella di tendere a risparmiare «sui costi, quindi anche sul lavoro, a volte anche a rischio di ottenere prestazioni meno qualificate. Questo porta pure a una redditività spesso maggiore, grazie però al minore investimento». Infine c’è un problema per l’Umbria sul management: «Ce n’è bisogno – dice Bracalente – di più qualificato, non soltanto sul versante dell’innovazione e dell’internazionalizzazione, ma anche nella gestione delle risorse umane, nella motivazione al lavoro e nella remunerazione del lavoro».

Occupazione e sostenibilità Catiuscia Marini, presidente della Regione Umbria sostiene che «il manifatturiero rappresenta il settore che ha investito di più in innovazione e ricerca, determinando un’alta produttività, orientata all’export, finendo per dare un contributo all’economia regionale anche sul fronte di una occupazione più qualificata. Il terziario tradizionale – ha aggiunto – fa fatica a stare al passo. Si evidenzia una maggiore difficoltà a rincorrere l’innovazione e la ricerca e accrescere i fattori di competitività». Quindi Marini accende l’attenzione su un fattore di rischio: «Ci sono imprese in crescita, competitive – dice -, che generano ricchezza ma non necessariamente generano, proporzionalmente, occupazione». Il vicepresidente dell’Umbria, Fabio Paparelli sostiene che «la dimensione d’impresa che non è un problema nel sistema di riferimento, qui, in Umbria, consente economie di scala, che favoriscono occupazione qualificata. La chiave – dice – sta nella ricerca e nell’internazionalizzazione, che sono gli strumenti da utilizzare, per avere una visione dell’Umbria che si traduce in due concetti fondamentali: innovazione e sostenibilità».

Andamento occupazionale Luigi Rossetti, direttore regionale attività produttive spiega che «tra il 2008 e il 2014 si è registrata una contrazione occupazionale (-18mila unità) e una crescita della disoccupazione (da 18 a 44mila unità). Nel 2015 c’è stata una importante crescita dell’occupazione (+11mila) mentre nel 2016, a seguito principalmente dell’evento sismico, si è registrata una nuova flessione dell’occupazione (-6mila unità). Nel 2017 l’occupazione ha avuto una lieve ripresa, ma gli effetti della crisi e delle conseguenze del terremoto sono ancora visibili. Nel 2017 è cresciuto il numero degli occupati nei servizi (+5mila) e in agricoltura (14mila). Si è registrato invece un calo nelle costruzioni (- 2mila), nel manifatturiero (-2mila) ma anche nel commercio (alberghi e ristoranti, -2mila), comparto colpito dagli effetti post sisma. L’occupazione autonoma è scesa a quota 85mila (-6mila) mentre l’occupazione alle dipendenze è risalita a quota 269.000 (+6mila): al suo interno aumenta la componente a termine (+8mila), raggiungendo una quota del 16,7 percento, una quota superiore alla media nazionale (15,4). La disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è scesa al 30,8 percento (-2,3 punti) mentre quella dei giovani tra i 15 e i 29 anni è scesa al 25,9 percento, un dato intermedio tra quello del Centro (24,3 percento) e quello nazionale (26,7percento). Nel secondo trimestre del 2018 il mercato del lavoro umbro mostra segnali positivi: crescita dell’occupazione di 5mila unità (+1,5 per cento) che arriva a quota 358mila, e una marcata flessione della disoccupazione con con meno 6mila unità scende a quota 35mila (-14,9 per cento), con una diminuzione maggiore di quella nazionale (-1,2 per cento). Si sono registrate oltre 46mila assunzioni, con una crescita quasi doppia rispetto alla media nazionale e che ha riguardato in misura importante le assunzioni stabili. La crescita dell’occupazione risulta prodotta dal commercio (alberghi bar e ristoranti, +5mila), dall’agricoltura (+4mila), dalle costruzioni (+3mila) e in minor misura dai servizi (+mille). Infine i dati Inps rilevano che nel primo semestre 2018 la crescita del tempo indeterminato, in Umbria, è la più elevata del Paese, così come l’incremento dell’apprendistato.

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