di Enzo Beretta

Quindici milioni di euro investiti, 150 milioni di panini prodotti per gli hamburger dei McDonald’s di mezza Italia, 38 decibel, decine di posti di lavoro a rischio a causa di un’ordinanza del tribunale di Perugia che dal 1° gennaio 2019 spegne per troppe ore i motori della Molini Fagioli di Magione. Meglio di ogni altra cosa i numeri raccontano la «storia drammaticamente semplice» di una delle realtà agroalimentari più importanti dell’Umbria. «Siamo il secondo impianto più certificato d’Europa – ammette disincantato il presidente Alberto Figna, imprenditore, originario di Parma, 60 anni ancora da compiere -. Ma a causa dei rumori prodotti dalle nostre macchine di lavorazione il giudice vuol farcelo chiudere rifacendosi a una legge del 1948».

Ci spieghi meglio.
«Provengo da una famiglia di mugnai da nove generazioni, nel ’97 sono arrivato a Magione e ho rilevato questo mulino che macinava la farina da almeno quarant’anni. Oltre a voler fare l’imprenditore coltivavo dentro di me l’ambizione di esportare una cultura di filiera e valorizzazione dell’agricoltura che in qualche misura mancava nel Centro Italia. Fino al 2006 nessun problema con i proprietari delle case vicine, poi è arrivata una nuova acquirente che ha subito fondato un comitato contro il mulino subissandoci di azioni civili e legali. Sono due gli appartamenti, contro uno di essi pende perfino un ordine di demolizione perché è abusivo…».

Per risolvere la questione dei decibel, quindi della rumorosità, cosa avete fatto?
«Sono un imprenditore abituato a rispettare le norme e le regole, lo sviluppo del mulino è stato portato avanti anche mediante un piano di abbattimento del rumore che ci è costato un milione e mezzo. Anche quello è finito prima davanti al Tar e poi al Consiglio di Stato. Risultato? Il rumore è stato definito accettabile secondo una legge del 1991 ma non tollerabile secondo una norma del 1948… per capirci, lavoriamo a 38 decibel, la soglia di tollerabilità non esiste».

E quindi, cosa succede?
«Succede che un’ordinanza del tribunale ci impone la chiusura dalle 19 alle 7 e dalle 14 alle 16. Per un’attività che deve lavorare 24 ore equivale a una chiusura».

Oppure produrrete meno.
«Chiuderemo. Non si può far lavorare un mulino 10 ore al giorno in maniera discontinua, non ci sono i presupposti tecnici. La Giustizia ce lo ha imposto ben sapendo le conseguenze di chiusura definitiva dell’impianto».

Quante persone perderebbero il lavoro?
«Noi contiamo 28 dipendenti ai quali però devono aggiungersi trasportatori, imprese di pulizie, manutentori, agricoltori. Diverse centinaia tra tutti. Il mulino processa circa 60 mila tonnellate all’anno di grano di cui due terzi provengono dall’Umbria. Stimiamo una media di 40 tonnellate per agricoltore e i conti sono presto fatti: mille agricoltori. Dalla sera alla mattina ci dicono di chiudere ma noi abbiamo impiegato 20 anni per fare il grano dei baby-food e la farina per i biscotti della prima infanzia».

Per chi lavorate?
«Per Plasmon, Barilla, Ferrero, Colussi, Findus. Tra i nostri clienti c’è una multinazionale messicana che vende i panini per gli hamburger a McDonald’s. Metà dei panini che mangiate nei McDonald’s d’Italia vengono prodotti con la farina fatta a Magione».

Quanti ne fate?
«Produciamo la farina per 128 milioni di panini, più la resa, 150 milioni. E ancora, Duplo, Fiesta, Kinder Brioss, Kinder Cereali. I biscotti Plasmon per la prima infanzia per il 40 per cento sono fatti con la farina prodotta a Magione. Non sono informazioni che i nostri clienti hanno piacere di leggere ma servono a dare un ordine di grandezza sul significato della chiusura dei Molini Fagioli».

Avete mai pensato a delocalizzare?
«Impossibile, ci vorrebbero 30 milioni di euro e almeno 6 anni. Chiudere significa non aprire mai più. In 21 anni, però, abbiamo investito qualcosa come 15 milioni di euro tra attrezzature, parti elettroniche, silos, magazzini, confezionatrici. Non esattamente bruscolini».

Alla stima delle case vicine è seguita una vostra offerta. Ci sarà un incontro in prefettura.
«Di questo preferisco non parlare, per il momento, c’è una possibilità di mediazione e il mio dovere è perseguire l’obiettivo dovendo rispondere ai miei dipendenti che tra 28 giorni si ritroveranno in mezzo alla strada con mutui di casa da pagare, cambiali dei camion e leasing di qualche semirimorchio».

In tutto questo la politica quanto vi è stata vicina?
«Nel ’97 c’era un sindaco che si chiamava Bruno Ceppitelli e credeva fortemente nel nostro inserimento. Da quando non c’è più lui rassicurazioni e stimoli sono venuti meno ed è stata una catastrofe. Ora aspettiamo di vedere come va a finire perché questa nuova amministrazione sta provando a mettere una toppa a ciò che è stato fatto. O, forse meglio, a ciò che non è stato fatto».

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