Lo sportello di una banca

di Daniele Bovi

Le ultime chiusure, già decise o per il momento solo annunciate, riguardano territori come quello di Sant’Egidio, Arrone, Piediluco, Castel Viscardo, Montefranco e altre si aggiungeranno nel 2021. I casi citati – solo gli ultimi in ordine di tempo – fanno parte di un processo di riorganizzazione del settore bancario che non riguarda certo solo l’Umbria o l’Italia e che, per molti versi, è irreversibile perché dettato dalla logica economica e dal profondo mutamento dei servizi. Dinamiche che però lasciano scoperte realtà più o meno piccole in tutti i territori e che complicano, in una regione con molti anziani non in grado di gestire le operazioni tramite pc o smartphone, la vita delle comunità.

INTERATTIVO: TUTTI I NUMERI DEL SETTORE IN UMBRIA

I numeri Per capire quali sono stati i processi negli ultimi anni, Umbria24 ha ascoltato chi da lungo tempo lavora sul territorio e ha analizzato le statistiche di Banca d’Italia relative al periodo 2015-2020. Ogni anno, infatti, Palazzo Koch pubblica un dossier tramite il quale viene scattata una fotografia del settore bancario, che per quanto riguarda l’Umbria parla di un drastico ridimensionamento su tutti i fronti. Il numero di sportelli in questa manciata di anni è passato da 511 a 392, con numeri che – come si può vedere dai grafici che pubblichiamo qui – variano a seconda della dimensione e della tipologia di istituto bancario. Nel 2015 i Comuni serviti erano 82 su 92, con un numero di sportelli ogni 100 mila abitanti pari a 57; sei anni dopo, i Comuni serviti sono 75 mentre le filiali ogni 100 mila abitanti 45.

I tagli Ciò si è tradotto inevitabilmente in una grande sforbiciata al costo del lavoro: nel 2015 infatti i dipendenti in Umbria erano 3.751 e sei anni dopo 2.866, 860 in meno. Traiettorie che con tutta probabilità saranno accelerate dalla pandemia: la Cassa di risparmio di Orvieto, così come Banco Desio (che ha rivelato la fu Bps), chiuderanno altri sportelli in Umbria mentre Unicredit ha annunciato che, in tutta Italia, dirà addio a 400 filiali. Palmiro Giovagnola, oltre 30 anni di esperienza nel credito cooperativo, fino a pochi mesi fa è stato al vertice della Banca Centro credito cooperativo Toscana-Umbria, l’istituto nato all’inizio 2020 dalla fusione tra le ex Bcc Umbria e Banca Cras. «Quello che vediamo qui – dice – è un fenomeno nazionale, partito dalle grandi banche come Mps, Unicredit e Intesa, e irreversibile».

Un sistema imposto Giovagnola indica in particolare alcuni fattori per spiegare quanto successo: «Le nuove tecnologie – dice – impongono azioni che prevedono il taglio di sportelli e quindi di posti di lavoro. Ormai la gran parte dei pagamenti avviene per canali informatici e il lavoro agli sportelli è diminuito. Aggiungiamo poi i tassi a zero e il fatto che le banche non hanno più margini per fare utili: il risultato è che si tagliano le spese, e quelle del personale – lo dico con dispiacere – sono le prime aggredibili». Un sistema che Giovagnola non difende ma che «è stato imposto dal mercato e dalle varie normative; in un certo senso siamo stati anche noi vittime. Di sicuro il vecchio sistema non si regge più».

Un mondo è finito L’ex presidente cita il caso di Sant’Egidio, con i suoi 1.200 abitanti: «Fino a 20 anni fa era uno standard accettabile, oggi sotto i 7-10 mila le banche neanche si avvicinano». A Gioiello, piccola frazione del piccolo comune di Santa Maria Tiberina, su pressing del sindaco la banca due anni fa ha detto sì ad aprire uno sportello bancomat, «anche perché ne avevamo uno dismesso. Abbiamo avuto attenzione – racconta Giovagnola – anche per l’aspetto sociale, cosa che ai grandi gruppi non interessa. A pesare è il conto economico, peraltro aggravato dalla crisi. Un certo mondo è finito».

L’accelerazione Luciano Bacoccoli, attualmente consulente finanziario, è stato per molti anni dirigente di punta di Unicredit in Umbria: «Per ottimizzare il loro conto economico – spiega – le banche riducono la presenza sui territori, e alcuni processi sono accelerati dalla pandemia. È vero che ci sono molti anziani in Umbria e che si tolgono servizi, ma ora in un piccolo paese, dove servirebbero tre persone, è difficilmente sostenibile l’apertura di uno sportello. La banca è un’impresa, ci chiedono efficienza e se ciò non accade gli istituti entrano in crisi, con le conseguenze che abbiamo visto in giro per il paese». Un altro elemento da tenere in considerazione è il fatto che in Umbria «ci sono poche possibilità di fare sinergie: quelle poche realtà che avrebbero potuto recitare un ruolo di primo piano sono state assorbite dai grandi gruppi».

I lavoratori A fare i conti con questa situazione ci sono ovviamente anche i sindacati che, nei giorni scorsi, sono tornati a chiedere unitariamente un incontro alla giunta regionale. Luana Leonori, della Fisac Cgil, ricorda che «come sindacato sono anni che abbiamo lanciato l’allarme. È vero che certe situazioni non sono più sostenibili e che nel corso degli anni c’è stata la corsa ad aprire gli sportelli, forse troppi alla fine, ma ora chiudono anche quelli che guadagnano». La sindacalista cita il caso di Piediluco, molto frequentata dai turisti e centro remiero importante: «È inutile poi parlare di rinascita delle aree interne. Le banche devono anche recuperare la fiducia dei clienti e dovrebbero tornare a una finanza sostenibile, attenta al territorio. Per quanto riguarda l’Umbria, bisogna fare rete insieme alle istituzioni, al momento un po’ sorde, prima che i buoi siano definitivamente scappati».

Twitter @DanieleBovi

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