Giovanni Dozzini con il suo nuovo romanzo (foto Elisa Pietrelli)

di Danilo Nardoni

“Non ci si vergogna più a esprimere in maniera esplicita le proprie idee razziste, e prima ancora non ci si vergogna più di possederle, certe idee”. Sta in queste poche righe, almeno in parte, il sentimento e il ragionamento che ha spinto Giovanni Dozzini a partorire un nuovo romanzo. E con la forza della scrittura ecco che si possono mettere in fila quei pensieri che ti attanagliano giorno e notte, che non ti fanno dormire, di cui non ti spieghi perché e come si sia potuti arrivare a tutto quello che vede davanti ai suoi occhi un attento osservatore della società in cui viviamo. Lo scrittore perugino, dopo aver ricevuto il Premio letterario dell’Unione Europea del 2019 per il suo apprezzato da pubblico e critica ‘E Baboucar guidava la fila’, è tornato con un nuovo lavoro letterario uscito per Fandango Libri, ora in libreria e in ebook. ‘Qui dovevo stare’ racconta sedici giorni tra le maglie di un ragionamento interiore senza scampo e senza sconti, in un’escalation di disillusione e intolleranza, offrendo al lettore un rovesciamento di prospettiva provocatorio sulla mentalità e le scelte politiche di un Paese allo sbando. Un romanzo politico su come la provincia italiana è diventata leghista. Un ritratto impietoso delle ex province rosse, dove il tessuto sociale è esploso “e chi votava falce e martello oggi vota la destra razzista e xenofoba, nella speranza che tutto torni come un tempo, quando tutti – pare – si viveva meglio”.

La storia Luca Bregolisse, detto il Brego, è un imbianchino quarantenne che ha un passato da ragazzo dei centri sociali, una piccola impresa edilizia che lavora in nero, una moglie a casa che non vuole lavori e una figlia piccola, un padre pensionato e comunista che al momento giusto ha sbagliato a votare per la mozione Occhetto che ha ammazzato il Pci, un dipendente marocchino di nome Nabil pieno di guai, molti dei quali da ricondurre al figlio minorenne Mohammed, detto Massimino, che ancora adolescente spaccia e spesso scompare. Il Brego lo sa come funzionano le cose, che prima in provincia tutti si stava meglio, senza immigrati e senza ladri, tanto che adesso è meglio e giusto pensare al porto d’armi, tra un caffè corretto con il suo amico il Tordo – forte giocatore – e un’occhiataccia della madre, che pure da morta sembra un grillo parlante pronto a giudicarlo. Solo che le cose si complicano quando il figlio di Mohammed torna a casa pestato dalla polizia e poi scompare nel nulla, il padre smette di presentarsi al lavoro per andarlo a cercare, il Tordo muore e si scopre pieno di debiti con il bar dei cinesi dove giocava alle slot. E la vita quotidiana fatta di paste al sugo, appuntamenti serali e puntate al bar sembra uscire dai suoi binari. A quel punto, il Brego dovrà decidere se pensare a loro, a risolvere le cose come vorrebbe la moglie Pamela, o pensare a sé come vuole lui e costruirsi un futuro che non sia da manovale, diverso quindi da quello che gli è stato riservato. Dozzini – con una scrittura che rispecchia un flusso di coscienza inarrestabile e che, anche grazie all’architettura testuale scelta, ti costringe a rimanere attaccato ai ragionamenti del protagonista – mette così nero su bianco il costante, ripetitivo, stanco e demoralizzato mondo interiore in subbuglio di Luca. Che è poi anche quello di tantissime altre persone di quell’età e di quella provincia italiana, con un passato di sinistra ma che ora fanno dell’intolleranza un’arma più che di attacco di difesa.

Dozzini Giornalista e scrittore, ha pubblicato i romanzi ‘Il cinese della piazza del Pino’ (Midgard, 2005), ‘L’uomo che manca’ (Lantana, 2011), ‘La scelta’ (Nutrimenti, 2016) e ‘E Baboucar guidava la fila’ (Minimum Fax, 2018), con cui ha vinto il Premio letterario dell’Unione Europea del 2019 e al momento in corso di pubblicazione in dieci Paesi. Inoltre, è tra gli organizzatori del festival di letteratura ispano-americana Encuentro.

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