La sede della Corte dei conti dell'Umbria (foto F.Troccoli)

di Daniele Bovi

Dovranno risarcire all’Usl Umbria 2 quasi 1,8 milioni di euro tre ex dirigenti di quella che in passato era la Asl 4 di Terni. A deciderlo è stata la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti dell’Umbria con una sentenza depositata nelle scorse ore. Il caso si riferisce all’annullamento di oltre 300 multe fatte tra 2009 e 2010 dall’allora Corpo forestale, impegnato in una serie di controlli contro un’epidemia di anemia infettiva equina. L’ex direttore Sandro Fratini, quello amministrativo Roberto Americioni e il direttore del Dipartimento di prevenzione Guglielmo Spernanzoni, con tre atti dirigenziali nel 2015 approvarono quella che la Corte chiama una sostanziale sanatoria, adducendo come motivazione l’incertezza normativa e burocratica.

Il caso La sanatoria ha portato a una archiviazione di tutti i procedimenti amministrativi «in tal modo determinando – scrive la Corte – un consistente danno alla finanza pubblica regionale», quantificato dalla Procura contabile nell’atto di citazione in 1.787.568 euro e cinque centesimi. Le difese dei tre nel corso dell’udienza del novembre scorso hanno sostanzialmente sostenuto la piena legittimità del loro operato, spiegando che al procedimento avevano partecipato anche numerosi funzionari legali e, infine, che l’azione risarcitoria è stata avviata fuori dai limiti temporali massimi. Per far fronte all’epidemia il ministero della Salute tra 2006 e 2007 aveva dato vita, con due ordinanze, a un piano di sorveglianza nazionale per l’anemia infettiva degli equidi, spiegando che la violazione delle prescrizioni avrebbe comportato delle sanzioni.

La sentenza I controlli del Corpo forestale hanno evidenziato nel corso del tempo «diffuse irregolarità – sottolinea la Corte – non solo aventi a oggetto la mancata effettuazione di test per il riscontro della malattia, ma, più a monte, relative alla identificazione degli equidi». Analizzando la normativa, la magistratura contabile spiega che non ci sono incertezze e che le violazioni riscontrate dai militari «avrebbero potuto essere legittimamente sanzionate». Perciò i provvedimenti adottati in autotutela vengono giudicati illegittimi e denotano «una colpa gravissima dei convenuti, la cui azione ha impedito non soltanto l’introito di somme di denaro (il danno erariale contestato correttamente da parte requirente), ma anche l’adozione di misure sanzionatorie efficaci, dissuasive e effettive previste dal diritto eurounitario e soprattutto dall’ordinanza ministeriale del 2007 a tutela della salute pubblica,
rendendo più difficile quell’azione di tutela degli interessi pubblici curati dal piano di sorveglianza imposto a livello centrale dal Ministero della salute e non attuato correttamente a livello regionale e provinciale».

Atto arbitrario La Corte parla di un «un vero e proprio atto arbitrario fondato su una motivazione del tutto pretestuosa, atteso che, contrariamente a quanto evidenziato dai convenuti, il quadro normativo di riferimento non era affatto oscuro e incerto». Quanto alla prescrizione, l’azione della Procura per la Corte è stata avviata all’interno dei tempi massimi consentiti. In conclusione, per la Sezione giurisdizionale i tre vanno condannati in quanto hanno «orientato una scelta non già preordinata all’attuazione dell’interesse pubblico alla tutela della salute e alla prevenzione di epidemie, al tempo largamente diffusesi nella razza equina, ma in funzione della preferenza di altri non precisati interessi».

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