Monsignor Ernesto Vecchi

di Marco Torricelli

È un po’ come la storia dei dieci piccoli indiani. Uno alla volta escono di scena. O, meglio, da una scena. Perché dall’intero intreccio della storia sarà difficile. Dopo Luca Galletti e Paolo Zappelli, sono altre due le persone collegate direttamente alla Diocesi, una delle quali peraltro oggetto delle informazioni di garanzia, inviate dalla dottoressa Elisabetta Massini, ad allontanarsi. O essere allontanate.

Il notaio Gian Luca Pasqualini, tra i sette ad essere indagati, ha infatti lasciato l’Istituto diocesano per il sostentamento del clero. Il notaio ternano era membro del consiglio di amministrazione dell’ente, presieduto da Giampaolo Cianchetta, insieme a don Edmund Kaminski, che ne è il vice presidente, a Maurizio Borseti, Ermanno Ventura, Andrea Carducci, Eugenio Montagna Baldelli, don Angelo D’Andrea e don Claudio Bosi.

L’avvocato A Giovanni Ranalli, invece, il mandato sarebbe stato revocato. L’avvocato, rappresentante legale della Diocesi dai tempi dell’ex vescovo, Vincenzo Paglia– e attuale difensore di Galletti e Zappelli – sarebbe stato invitato, da monsignor Ernesto Vecchi, a non occuparsi più delle faccende legali. La gestione di una delle quali, in particolare, sarebbe stata il motivo scatenante. Ma forse non la sola. Si parla della causa, persa, nei confronti della famiglia Giordanelli-Aita e nei confronti della quale l’avvocato Ranalli aveva già annunciato il ricorso in appello.

La storia L’immobile venne donato dalla famiglia Giordanelli-Aita, nel 1997, a condizione che ci si facesse un albergo per pellegrini. Poi venne indetto il Giubileo, con ingenti contributi annessi. Ma i beni per i quali si volevano chiedere non potevano essere ottenuti in dono. E allora si sarebbe improvvisata una donazione all’ente per le opere di culto e di religione San Cassio che avrebbe, poi, simulato di venderlo alla Diocesi, indicando un prezzo utile per conseguire i finanziamenti per il Giubileo. E così un immobile che, nell’atto di donazione veniva valutato in 850 milioni di lire di allora, dopo soli tre giorni veniva venduto, dal San Cassio alla Diocesi, per tre miliardi e 150 milioni. 186 milioni in meno rispetto al finanziamento già ricevuto da quest’ultima per il Giubileo.

L’albergo Una struttura ricettiva, poi, è stata effettivamente realizzata – si tratta de ‘La collina di Collevalenza’, due ‘stelle’, 39 camere per 77 posti letto – gestito dalla società Drosos, nella quale sono presenti gli eredi della famiglia donante. Tra alti e, sempre più frequenti, bassi, i rapporti tra Diocesi e Drosos si sono fatti sempre più tesi. Con la prima che ‘bussava a denari’, lamentando mancati pagamenti dei canoni e con la seconda che replicava che quei canoni non erano dovuti, in quanto nel contratto stipulato era previsto che sarebbero stati ‘assorbiti’ dagli investimenti fatti. Insomma: sono finiti in Tribunale, tanto per cambiare.

La condanna Il giudice, Maria Letizia De Luca, alla fine ha condannato la Diocesi a restituire l’immobile, che sarebbe stato utilizzato, si legge nella sentenza, «per ottenere finanziamenti illeciti», oltre che per «ottenere finanziamenti bancari, con iscrizione sugli stessi di una ipoteca di rilevantissimo importo». La Diocesi deve anche versare alla famiglia 5 mila euro al mese, dal 2004 e liberare l’immobile dall’ipoteca relativa ad un oneroso mutuo – un milione, più o meno, ancora da pagare – che ha contratto con il Monte dei Paschi di Siena.

L’errore Per la Diocesi sarebbe, nel caso in cui la sentenza di primo grado fosse confermata, un altro bagno di sangue – vista la situazione delle casse diocesane – ed erano già state avviate, in modo discreto e contando sulla generosità della famiglia, delle trattative – peraltro molto avanzate – che avrebbero permesso una conclusione indolore della vicenda. Con la famiglia Giordanelli-Aita disposta a lasciare l’immobile nella disponibilità della Diocesi, a patto che si sanassero bonariamente tutte le diatribe del passato e che quella struttura potesse continuare a svolgere il compito per il quale era stata originariamente pensata. Ma l’iniziativa, di proporre immediatamente appello, rischiava di mandare tutto all’aria. E la storia dei piccoli indiani continua.

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