Lucia Cuccolini

di Chiara Fabrizi

«Nel centro di salute pubblico in cui lavoro eravamo undici medici e siamo rimasti in cinque, perché tre colleghi sono risultati positivi, due sono stati trasferiti all’ospedale da campo di Ifama e un altro è a casa per altri motivi». Inizia così il racconto di Lucia Cuccolini, 34 anni, nata e cresciuta a Città di Castello, proclamata dottoressa in Medicina all’Università di Perugia, ma dal 2013 a Madrid oggi epicentro spagnolo del focolaio di Covid-19: «Purtroppo dall’inizio dell’emergenza ho visto morire molta gente, troppa, ci sono vicende umane terrorizzanti – racconta – come quella di una signora di 76 anni positiva al Coronavirus, che vive da sola in casa, dopo che il marito è morto in ospedale la scorsa settimana e la figlia è intubata in terapia intensiva ormai da due settimane».

Medico umbro nell’emergenza di Madrid Cuccolini per ora sta continuando a lavorare ogni giorno nel centro di salute in cui si prendeva cura dei suoi pazienti già prima dell’emergenza, «ma potrei essere trasferita nell’ospedale da campo di Ifama in qualsiasi momento». Nella struttura sanitaria pubblica in cui presta servizio ogni giorno la dottoressa umbra svolge «sostanzialmente una funzione di filtro che è fondamentale – dice – per sostenere il sistema sanitario: stabiliamo chi può restare a casa e chi deve andare in ospedale, prevenendo, per quanto possibile, il sovraffollamento degli ospedali, che la scorsa settimana si è comunque verificato a causa dell’elevatissimo numero di malati». Nel dettaglio, nei circa 200 centri di salute di Madrid, «ci occupiamo – spiega Cuccolini – sia di diagnosi e assistenza telefonica dei positivi in isolamento, mediamente gestiamo 500 telefonate al giorno, che di assistenza a domicilio quando è necessario, ossia in genere una cinquantina di uscite al giorno, oltre alle cure palliative nel caso di persone con prognosi infausta che vogliono morire a casa».

«Certificata morte sospetta senza protezioni» Nei giorni scorsi Cuccolini è andata a certificare il decesso in casa di un’anziana, «un caso sospetto di Covid-19, ma in quei giorni – racconta – avevamo finito le tute di protezione individuale e l’unica dotazione fornita è stata un telo non impermeabile su cui ho applicato un grembiule di plastica». Come in Italia anche in Spagna, racconta la dottoressa, «ci sono stati e ci sono tuttora molti problemi legati all’approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario e due settimane fa girava un video su come realizzare un grembiule da una busta di plastica». Inutile chiedere quale sia lo stato d’animo con cui ogni giorno affronta l’emergenza: «Siamo tutti stanchi, un po’ spaventati, ma ci sono notizie che aiutano lo spirito, come le dimissioni dall’ospedale di una mia paziente di 92 anni che era risultata positiva o il supporto della popolazione, che ogni giorno alle 20 esce ad applaudire, è forte ed è un aiuto in più a stringere i denti».

@chilodice

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